Roberto Battestini, fumettista e docente di inglese in un istituto d’istruzione superiore, è stato intervistato dal “Corriere della Sera”. L’uomo, 55 anni e padre di otto figli, ha parlato a ruota libera della sua infanzia e della sua adolescenza colme di difficoltà, dal momento che i suoi fratelli Pasquale e Rolando sono stati due criminali che tra la fine degli anni Settanta e i primi degli Ottanta, insieme ad altri banditi, hanno commesso 114 rapine milionarie ai danni di banche e gioiellerie. Nel realizzarle, si resero autori anche di due omicidi e la loro azione finì per terrorizzare l’Abruzzo e le Marche. Il loro modus operandi fu accostato a quello della banda della Magliana e, da quel momento, tutti iniziarono a parlare della banda Battestini.
Roberto ha raccontato che “vivevo come in un dualismo, avevo due anime. Per fortuna alla fine sono riuscito a scegliere l’altra direzione. Io ero molto affascinato dai miei fratelli, dai loro amici… Talvolta mi portavano a cena come mascotte, ma non percepivo al cento per cento la gravità di quello che facevano fuori casa. Vedevo, però, la preoccupazione negli occhi dei miei genitori, in casa c’era spesso un clima di tensione e non detto. Capii a nove anni, ma tenni tutto dentro e non dissi in famiglia che sapevo la verità. Mi creava parecchi problemi anche il fatto che il nome della banda fosse proprio il mio cognome: non potevo separarmene, capitava che a scuola sentissi dire ‘quello è il fratello di…’ o che i genitori di qualche ragazza che mi piaceva la mettessero in guardia: ‘I fratelli sono quelli della banda’. Non è stato facile”.
ROBERTO BATTESTINI: “VEDEVO LA SOFFERENZA NEGLI OCCHI DI MIO PADRE”
Ancora ai microfoni del CorSera, Roberto Battestini ha rammentato la sofferenza che scorgeva negli occhi di suo padre, per il quale “la condotta dei miei fratelli era il fallimento totale della sua linea educativa”. Seguirono anni complicati, nei quali Roberto assunse sostanze “come forma di ottundimento, di distacco dalla realtà”, finché raggiunse un suo equilibrio interiore: “Non rinnego più la storia dei miei fratelli. Io sono quello che sono proprio per la mia storia. Pasquale e Rolando hanno fatto scelte estreme che potenzialmente sono in ognuno di noi, oggi quello che mi colpisce e mi commuove è pensare che erano solo dei ragazzi. Non bisogna abbandonare la sofferenza, ma, anzi, viverla, perché rafforza e dà un’identità, dà un senso alla nostra esistenza. Quello che ho vissuto è stato per volontà di Dio e raccontandolo adesso, che la rabbia si è trasformata in qualcosa di buono, spero di aiutare qualcuno in difficoltà a capire che si può passare attraverso esperienze difficili e pensanti senza perdersi”.
Oggi è un uomo nuovo, rinato. Vive a Pescara e lo sottolinea con profondo e immenso orgoglio: “Non sono fuggito, sto qui e ogni giorno mi prendo la responsabilità anche del male che hanno fatto i miei fratelli”.