Quando tocca commentare uno show come quello di Roberto Bolle, Danza con me Best of, non si sa mai da dove cominciare. Questo perché è un programma talmente “variegato” in se stesso che è difficile persino collocarlo in un genere. Potremmo definirlo “dance” show, “music” show; in sintesi, “art” show. Più semplicemente (meno modernamente, se non altro perché non è un inglesismo), “varietà”. Ma è ancora lecito definire tale uno spettacolo televisivo? Non è questo un termine caduto in disuso ormai nei lontani anni Ottanta-Novanta? Probabilmente sì, ma questa è senza dubbio l’occasione giusta per rispolverarlo. Davvero Bolle è stato capace di portare in scena qualcosa di vecchio e nuovo allo stesso tempo; qualcosa di nuovo proprio perché vecchio, forse, e che funziona perché la gente ha semplicemente tanta nostalgia delle cose belle, di quei bei momenti di televisione posata e senza troppe pretese in cui si cantava, si ballava e… basta. E bastava questo a intrattenere.
Il concept di Danza con me Best of
Danza con me Best of è uno show vecchio standard con elementi nuovi. Per esempio, al posto delle Rita Pavone e Mina d’annata, c’è Nina Zilli, che guarda caso propone un medley dei più grandi successi anni Sessanta mentre Roberto Bolle veste i panni di primo ballerino del corpo danzante della Rai. Non mancano nemmeno i momenti di più spiccata attualità, come il siparietto con il robot Rudy (un braccio meccanico che assiste Bolle nelle varie prese) e quello con la tuta cangiante comprensiva di effetti speciali. Danza con me Best of è altresì un esperimento di metatelevisione: interessanti i commenti degli spettatori vip seduti sugli spalti o in galleria, ciascuno in grado di apportare un proprio valore aggiunto non sempre, a dire il vero, brillantissimo o essenzialissimo, ma che è pur sempre espressione di una partecipazione attiva da parte del pubblico.
Danza con me, le pagelle del best of di Roberto Bolle
Uno dei momenti più alti dell’intero Danza con me Best of è stato quello occupato dal monologo di Stefano Accorsi. L’attore ha sintetizzato efficacemente i difetti della “nuova generazione” di vecchi, dei vecchi “due punto zero”, che non si rassegnano al passare del tempo e vorrebbero in qualche modo essere sempre la versione migliore di loro stessi (replicanti). Non si rendono conto, per l’appunto, che è una guerra molto egocentrica; segue per continuità il balletto di Roberto Bolle ispirato al Dorian Gray di Wilde. Voto: 8. Convincente anche il grand pas profano e dissacrante di Bolle con Elisa Badenes, una ballerina anticonvenzionale e simpatica già solo perché si presenta con gli occhiali. Ne avevate mai vista una? Noi no. Voto: 7. Apprezzata la scelta del padrone di casa di “rischiare” invitando Fabri Fibra, ma c’è da dire che, dall’altra parte, con Cesare Cremonini, compensava alla grande andando sul sicuro. Superata la prova di ballo di quest’ultimo, che si mette in gioco senza troppi problemi e già solo per questo si merita un 8.