Il Coronavirus miete un’altra vittima “nota”: Roberto Brivio, storico artista che faceva parte dei Gufi, è morto all’età di 82 anni dopo un ricovero di alcuni giorni all’Ospedale San Gerardo di Monza. Nei Gufi, Brivio era chiamato “Cantamacabro” dal momento che, come rammenta Repubblica.it, era proprio lui a scrivere le canzoni del quartetto musical-cabarettistico dedicate non a caso alla morte. Roberto è il terzo membro (di quattro) ad abbandonare la vita terrena dopo Gianni Magni e Nanni Svampa. Resta in vita solo Lino Patruno. Il gruppo di cui faceva parte ebbe una vita relativamente molto breve in quanto durò appena 5 anni, dal 1964 al 1969 ma rappresentò un colpo di genio nell’Italia democristiana che accolse in tv quattro uomini in tutina nera che cantavano di cimiteri, sesso, religione, satira politica il tutto all’insegna dell’ironia.
Fu per decisione di Gianni Magni che il gruppo si sciolse e quest’ultimo tentò la carriera da solista. Una decisione che non andò mai giù a Roberto Brivio che dichiarò: “io non gliel’ho mai perdonata, fu un suicidio, facevamo sempre tutto esaurito”. Non è un caso che lo stesso stesse lavorando a una reunion della band, con nuovi compagni: Flavio Oreglio, Alberto Patrucco, David Riondino.
ROBERTO BRIVIO DEI GUFI MORTO DI CORONAVIRUS A 82 ANNI
Il Coronavirus avrebbe prima fermato per sempre il progetto e poi ucciso anche il suo ideatore, Roberto Brivio, dopo qualche giorno di ricovero. Brivio, come rammenta ancora Repubblica, non fece solo parte dei Gufi ma in oltre 60 anni di carriera fu anche attore, cantante, cabarettista, chansonnier, direttore artistico e scrittore di libri in dialetto. “Qualcuno mi rimprovera di non aver scelto una strada precisa, di aver disorientato il pubblico. Ma io mi sono divertito e mi diverto così, se sto fermo più di tre giorni mi annoio”, aveva commentato, pensando alla sua lunga carriera. Tra le altre attività di Brivio, anche cabaret, regista di teatro, musical e opera, autore per radio e tv, tra cui Antenna 3 Lombardia. Realizzò una operetta con la moglie Grazia Maria Raimondi e scrisse 13 libri, tra cui uno di parolacce in dialetto ma mai volgari. Lui continò con la sua attività frenetica fino al ricovero, durato pochi giorni prima dell’addio.