Sono passati quarant’anni dal giorno in cui il banchiere Roberto Calvi fu trovato impiccato sotto il ponte di Black Friars a Londra. Erano le 07:50 quando un passante, sporgendosi sul parapetto, viste un corpo appeso per il collo con uno di corda agganciato all’impalcatura che era stata eretta sul letto del fiume Tamigi. Ne parla John Goddard del Ministero dell’Interno britannico a R. Osborne del Foreign Office in una lettera scritta un mese dopo e che rientra tra i fascicoli di documenti riservati che la Gran Bretagna ha trasferito all’Archivio di Stato. Ne ha preso visione Il Tempo, spiegando che quella missiva ricostruisce i primi momenti delle indagini sulla morte dell’ex presidente del Banco Ambrosiano. Si ipotizzava che si fosse arrampicato sul ponteggio, arrivando dal letto del fiume o da una barca. Dalla ricostruzione dei funzionari del ministero britannico si evince che Roberto Calvi indossava due paia di mutande, più orologi, quattro paia di occhiali, l’equivalente di 15 milioni di lire, inoltre furono trovati cinque mattoni per un peso totale di circa 5 chilogrammi. Una pietra, trovata all’interno dei pantaloni, era stata introdotta con la forza, infatti era caduto un bottone, quindi non dall’alto come sarebbe stato più logico.



Ma era difficile immaginare una persona di 62 anni, con una corporatura tutt’altro che atletica, con cinque chili addosso, che nel cuore della notte si portava da solo su quell’impalcatura per suicidarsi. Infatti, Angela Gallop, esperta forense inglese che ha testimoniato al processo per l’omicidio del banchiere nell’aula bunker di Rebibbia, ha ricostruito nel suo giardino di casa un’impalcatura uguale in ogni dettaglio, ordinando al marito, di corporatura simile a quella di Calvi, di salirci sopra con gli abiti prestati dalla famiglia del banchiere. Al Daily Telegraph ha raccontato che non riuscì ad arrampicarsi, soprattutto senza sporcarsi di ruggine. Più plausibile che fosse morto prima, quindi che sia stato trasportato lì in macchina, poi calato dall’alto e appeso, oppure in barca, quindi issato dal basso sui tubi. Ma per gli investigatori gli elementi suggerivano l’ipotesi del suicidio. In Italia i pareri erano discordanti. A Milano si privilegiava la tessa ipotesi, ma comunque non si escludeva l’omicidio, poi le indagini furono concentrate a Roma.



I MISTERI DIETRO LA MORTE DI ROBERTO CALVI

Quando Roberto Calvi fu ritrovato erano passati sette giorni dalla sua scomparsa. Il “Banchiere di Dio” era stato condannato in primo grado a 4 anni di carcere e 15 miliardi di lire di multa in primo grado. Quindi, era in attesa di appello e non poteva lasciare l’Italia, avendo il divieto di espatrio. Ma arrivò comunque a Londra, con un passaporto falso intestato a Gian Roberto Calvini e grazie ad un volo privato dalla Svizzera. Non era solo: era arrivato a Londra con Silvano Vittor, guardia del corpo, che la sera del 15 giugno, il giorno stesso del suo arrivo, non lo trovò più in albergo. Dalle indagini emerse un intreccio di finanziamenti dall’Ambrosiano, collegamenti con lo Ior, banca del Vaticano, riciclaggio di soldi della criminalità organizzata e sovvenzioni a Solidarnosc, sindacato polacco che diede la prima spallata per la caduta dell’Unione Sovietica. Il 17 ottobre 2013 il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone ha archiviato il procedimento a carico di Flavio Carboni, Licio Gelli, il capo della Loggia P2 a cui Roberto Calvi era iscritto e degli altri quattro indagati, poiché gli elementi probatori a disposizione “non hanno assunto il valore di prove certe“. Nel frattempo, Vincenzo Casillo, indicato come l’esecutore materiale dell’omicidio da parte di cinque pentiti di mafia, era già morto. L’omicidio di Roberto Calvi va dunque collocato in un periodo oscuro per l’Italia, tra tensioni sociali, Guerra fredda, violenza terroristica e mafiosa. Un panorama fosco nel quale la loggia massonica P2 era riuscita a inserirsi nei più delicati gangli degli apparati statali e militari, dando vita a complessi intrecci.



ROBERTO CALVI IMPICCATO? “UNA SIMULAZIONE DI SUICIDIO”

In questo contesto si colloca, dunque, l’omicidio del banchiere, preceduto dall’attentato a Roberto Rosone, direttore generale e vicepresidente del Banco Ambrosiano. Anche se il processo si è concluso con l’assoluzione degli imputati, si può però dire dopo 40 anni , afferma il Fatto Quotidiano, che le indagini hanno dimostrato come Roberto Calvi sia stato ucciso “mediante impiccagione” e “simulazione di suicidio“. Inoltre, Cosa Nostra usava il Banco Ambrosiano e lo Iorcome tramite per massicce operazioni di riciclaggio“, che avvenivano anche ad opera di Vito Ciancimino e Giuseppe Calò. Quindi, nelle casse dell’Ambrosiano confluirono “i proventi del sequestro di persona in danno di Pietro Torielli“. Le ultime persone che Roberto Calvi incontrò furono Flavio Carboni e Silvano Vittor. Il collaboratore di giustizia Claudio Sicilia accusò per primo Vincenzo Casillo di aver eseguito l’omicidio, accusa poi ribadita da Pasquale Galasso, Carmine Alfieri e altri collaboratori di giustizia. Il motivo? Passato segretamente dal clan Nuvoletta, legato ai Cortonesi, per Casillo e Cosa Nostra il banchiere si era appropriato del loro denaro. Inoltre, era pericoloso, perché aveva finanziato i maggiori partiti politici italiani e minacciato alti prelati. Quindi, se avesse collaborato con la giustizia sarebbe stato devastante. Ma quarant’anni dopo non è ancora chiaro chi ordinò l’omicidio e chi lo eseguì. Del resto, le domande senza risposta sono tante. Luca Tescaroli, tra le altre cose, sul Fatto Quotidiano riporta le voci secondo cui Calvi, il Banco Ambrosiano e il prelato Paul Casimir Marcinkus abbiano riciclato denaro di provenienza illecita, ma si chiede anche se Calvi abbia effettivamente erogato denaro mafioso “per impedire l’avanzata comunista nei Paesi dell’America Latina e contrastare l’egemonia dei regimi marxisti nell’Europa orientale“.