Il conflitto tra Russia e Ucraina ha innescato la corsa al gas, con importanti effetti anche per l’Italia. Intervenuto ai microfoni del Corriere della Sera, il ministro Roberto Cingolani ha spiegato che Roma paga l’essersi appiattata sulla dipendenza dal gas russo, considerando che Mosca ci fornisce oltre il 40%. Non è stato un buon approccio, secondo il titolare della Transizione ecologica: «A maggior ragione perché il nostro energy mix è piuttosto povero. Sostanzialmente dipendiamo dal gas, dunque l’errore è stato doppiamente grave».



Nel corso del suo intervento, Roberto Cingolani ha spiegato che un terzo dell’energia consumata in italia è elettricità e di questo terzo, il 60 per cento è prodotto dal gas. Gas che poi soddisfa anche altri bisogni. L’esperto ha proseguito: «Serve un piano nazionale di sicurezza energetica per non ritrovarci più nelle condizioni di oggi. Questa guerra ci obbliga ad accelerare dopo anni di distrazione, ideologia, ipocrisia, balle».



ROBERTO CINGOLANI SUL GAS RUSSO

«Chi ce lo vende, come la russa Gazprom, fa profitti straordinari. Una riflessione europea è importante. Lunedì andiamo con il premier Mario Draghi a parlarne con Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione Ue. Uno dei temi è il denaro che diamo ai russi per le forniture», l’analisi di Roberto Cingolani, che non ha escluso l’introduzione di un price cap. Il tetto ai prezzi potrebbe dare una mano per il ministro della Transizione ecologica, invocando un costo equo affinchè il fornitore non se ne vada: «Un prezzo al di sopra del quale gli operatori europei non possono comprare, perché oggi la paura dell’interruzione dei flussi dalla Russia sta generando extra-profitti per Gazprom tutti a nostro danno». Roberto Cingolani ha poi aggiunto su come uscire dalla dipendenza italiana: «Il piano nazionale di sicurezza energetica deve aumentare il numero dei fornitori, staccandoci da quello principale. Con azioni sia immediate che di medio periodo. In queste ultime settimane abbiamo passato nottate a parlare con i governi dei vari Paesi produttori, per risolvere il problema. In primo luogo bisogna arrivare alla fine dell’inverno con gli stoccaggi che abbiamo».

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