L’aveva già scritta una lettera dal carcere Roberto Formigoni lo scorso 28 febbraio, ma era corta, breve e raccontava poco dei suoi primi giorni in prigione dopo la condanna per corruzione sul caso Maugeri: oggi però il settimanale Tempi ha pubblicato un’altra lettera personale, assai più dettagliata e interessante dove l’ex Presidente della Regione Lombardia racconta ai suoi fedelissimi e a chiunque voglia interessarsi di questa particolare storia personale prima ancora che politica, cosa significhi una vita sconvolta ma non “cambiata” dal peso del carcere. Dopo tre mesi di detenzione, Formigoni spiega tutta l’ingiustizia che ritiene abbia subito nella condanna definitiva – «la mia condanna è stata pubblicamente definita dal prof. Franco Coppi, il più grande penalista italiano, «una condanna senza colpa e senza prove», perdipiù aggravata dalla cosiddetta legge “spazzacorrotti” di cinquestelle e Lega, entrata in vigore il 31/1/19 e applicata retroattivamente (!) nei miei confronti per presunti reati eventualmente compiuti nel 2011. Una legge che diversi tribunali si sono rifiutati di applicare, e nei confronti della quale il tribunale di Venezia per primo ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale perché ne dichiari la incostituzionalità» – ma avanza anche la “novità” di una pena che non ha modificato il suo modo di intendere la vita e i suoi drammi. «Mi è stato chiaro fin dal primo istante che questa situazione non poteva dominare né i miei giorni né i miei minuti. Hanno potuto condannarmi ma non hanno potuto decidere del mio modo di reagire e di vivere, non hanno potuto inquinare né il mio cuore né il mio cervello», scrive ancora Formigoni ai colleghi di Tempi.



LA LETTERA DAL CARCERE DI ROBERTO FORMIGONI

Come racconta poi nel prosieguo della lettera, il carcere può offrire e dare molto più di quello che si potrebbe “immaginare”: dall’esperienza di questi primi 3 mesi a Bollate, «ho imparato nella mia vita, vivo il presente istante per istante, e il presente è il luogo della presenza di un Altro, e ogni istante è un’occasione di sofferenza ma anche di incontro, di dialogo, di riflessione. Tutto ciò ha destato qui una certa sorpresa, perché ci si aspetta che il detenuto, specie nei primi tempi, sia almeno un po’ provato, un po’ depresso, se non addirittura che mediti “intenti cattivi”, tant’è che per un certo periodo devi incontrare quotidianamente lo psicologo o lo psichiatra». Lì Formigoni racconta come i professori che lo hanno visitato in carcere lo ritenessero quasi pazzo per vivere “così bene” l’esperienza del carcere: e lui nella lettera la spiega così «si può vivere così anche in rapporto agli altri detenuti e agli agenti di polizia penitenziaria. Ciascuno è una persona, ovviamente coi suoi problemi, a volte grandi o grandissimi, con una prospettiva di futuro pesante o incerta, con speranze che vanno e vengono. Ma con molti si può creare uno scambio, un riconoscimento, qualche forma di solidarietà». Tantissimi messaggi inviati da fuori carcere che sorprendono ed emozionano un Roberto Formigoni segnato ma “combattivo”: «il mio più grande cruccio è di non riuscire a rispondere che a pochi. Ma i messaggi li conservo tutti, ci sono storie grandi e piccole, piccole e grandi sofferenze, molte riflessioni a volte straordinarie di quello che oso ancora definire “il mio popolo”. È un tesoro, questo, che non hanno potuto né condannare né distruggere. E che porterò sempre con me», conclude nella lettera a Tempi, Roberto Formigoni.

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