L’ombra della stessa firma dietro tre omicidi consumati nei primi anni ’90 tra Vicenza e Milano. Il primo è un duplice omicidio consumato nella città veneta il 25 febbraio 1991, vittime l’avvocato Pierangelo Fioretto e sua moglie, Mafalda Begnozzi, uccisi con una pistola che potrebbe essere l’arma usata il 18 febbraio 1992 per assassinare Roberto Klinger, medico dell’Inter trucidato sotto la sua abitazione del capoluogo lombardo.



Il filo rosso tra i delitti, ricostruisce Il Corriere della Sera, sarebbe rappresentato anzitutto proprio dall’arma con cui sarebbero stati commessi, una Nuova Molgora calibro 7.65, pistola giocattolo modificata con la sostituzione della canna, e poi dalle testimonianze di chi si trovava nei pressi delle due scene del crimine e avrebbe restituito identikit simili riferiti a uno dei due presunti assassini.



La Procura di Vicenza chiede gli atti a Milano: caccia al killer di Roberto Klinger e dei coniugi Fioretto, c’è un legame?

Stando a quanto emerso, all’epoca al Nord Italia ci sarebbero stati pochi esemplari di quella pistola, più diffusa al Sud in particolare nell’alveo di crimini legati alla criminalità organizzata. Sarà la chiave per risolvere i due grandi gialli di Roberto Klinger e dei coniugi Pierangelo Fioretto e Mafalda Begnozzi? L’ipotesi non sembra così peregrina anche alla luce di quello che, secondo Il Corriere, sarebbe l’interessamento delle due procure, Vicenza e Milano, allo spettro di un legame tra i tre omicidi e alla eventualità di una pista comune che porta alla ‘ndrangheta. A stabilire se le tre vittime furono assassinate con la stessa arma interverrà una perizia balistica.



Poche settimane fa, si è registrata una prima svolta con l’individuazione, 33 anni dopo il duplice omicidio, di uno dei presunti esecutori materiali nel caso Fioretto. Gli inquirenti, come riporta Ansa, hanno infatti arrestato Umberto Pietrolungo, 58 anni, ‘ndranghetista del clan Muto di Cetraro (Cosenza), raggiunto dall’ordinanza del gip di Vicenza nel carcere cosentino dove è detenuto dal 2022 per altri reati. A suo carico, elementi ritenuti di rilievo per collocarlo sulla scena del crimine in cui furono assassinati l’avvocato e sua moglie nel 1991: il Dna estratto da un guanto di pelle attribuito ad uno dei killer, tracce di una impronta digitale sul silenziatore di una delle due armi ritrovate e alcuni particolari degli identikit dell’epoca realizzati sulla base dei racconti di testimoni che parlarono di due soggetti avvistati nella zona. Il secondo uomo non è mai stato identificato e, secondo gli inquirenti, non si esclude potesse essere un complice di Pietrolungo a cui potrebbe attribuirsi l’omicidio di Roberto Klinger sulla base dei particolari emersi da alcune testimonianze.

Gli identikit realizzati dopo gli omicidi di Pierangelo Fioretto e Mafalda Begnozzi

Un potenziale legame tra i due casi di omicidio, che legherebbe a doppio nodo i fatti di Vicenza e di Milano del 1991 e 1992, emerge anche dal racconto di una studentessa che, la mattina del 18 febbraio 1992, giorno dell’omicidio di Roberto Klinger, avrebbe sentito gli spari e avrebbe visto un uomo correre. La sua testimonianza riferì di “un giovane alto circa 1.75, capelli corti, scuri e ricci e questo identikit sembrerebbe compatibile con il racconto di un testimone dei fatti avvenuti un anno prima a Vicenza.

Nel caso di Pierangelo Fioretto e Mafalda Begnozzi, un testimone dell’omicidio, uno dei quattro che avrebbero visto i due killer aggirarsi vicino all’abitazione dell’avvocato, parlò di un giovane “alto circa 1.75, corporatura media, capelli scuri sul riccio“. Al netto dell’ipotesi di una clamorosa coincidenza tra i due racconti, resta quella ora al vaglio degli inquirenti e cioè che si trattasse della stessa persona in azione a Vicenza e poi a Milano. Potrebbe trattarsi di un complice di Pietrolungo? Per chi indaga, sì: quest’ultimo infatti, ricostruisce ancora Il Corriere della Sera, è più alto dell’uomo indicato nelle due descrizioni e, dettaglio dirimente, nei giorni in cui fu ucciso Roberto Klinger era in carcere.