Andò in onda un anno prima della sua morte l’intervista speciale di Roberto Mancini a Servizio Pubblico Più, il programma condotto da Michele Santoro che all’epoca dedicò un’intera puntata al caso terra dei fuochi. L’inviato Sandro Ruotolo lo incontrò in ospedale, dove Roberto era appena stato sottoposto a un trapianto di midollo resosi necessario dopo anni di cure convenzionali (radio e chemioterapia). In quell’occasione, Mancini spiegò le dinamiche interne alle organizzazioni criminali: “Ogni 5 camion di mondezza era un camion pieno di soldi. La mia informativa è rimasta nel cassetto per 15 anni. Se l’avessero presa in considerazione, se avessero fatto ulteriori accertamenti, forse qualche morto si sarebbe potuto evitare”. (agg. di Rossella Pastore)
Io non mi arrendo: la malattia causata dai rifiuti tossici
In una nota pubblicata il 30 aprile 2021, a 7 anni esatti dalla morte di Roberto Mancini, la Polizia di Stato ha voluto ricordare così il collega deceduto nell’ambito della sua indagine condotta a stretto contatto con i rifiuti tossici: “Sono passati 7 anni dalla morte di Roberto Mancini, il sostituto commissario, medaglia d’oro al valor civile alla memoria, deceduto 30 aprile del 2014 a seguito di una lunga malattia contratta durante i presenti sopralluoghi nella cosiddetta ‘Terra dei fuochi’. Roberto Mancini fu uno tra i primi ad indagare in Campania sulle ecomafie e sul fiorente traffico portato avanti dalle organizzazioni criminali. La assidua presenza in zone contaminate lo aveva portato ad ammalarsi di un linfoma clinicamente riconducibile all’esposizione ai rifiuti tossici”. Mancini morì all’età di 53 anni dopo aver a lungo combattuto con la sua malattia. (agg. di Rossella Pastore)
Io non mi arrendo: l’indagine che gli costò la vita
Roberto Mancini è il poliziotto protagonista della fiction Io non mi arrendo in onda questa sera su Rai1. Rispetto alla realtà, gli sceneggiatori si sono presi diverse licenze: i nomi dei personaggi, per esempio, sono tutti di fantasia. Roberto Mancini è diventato Marco Giordano; l’avvocato antagonista Cipriano Chianese, Gaetano Russo; sua moglie Monika Dobrowolska, Maria Kaminksi. Beppe Fiorello, che veste i panni di Roberto, lo caratterizza in maniera particolare, dandogli un accento romano e una parlata dialettale appena accennata che, probabilmente, era la stessa di Roberto. Il poliziotto è venuto a mancare nel 2014 lasciando una moglie, Monika, e una figlia, Alessia, dopo aver a lungo combattuto con un linfoma non-Hodgkin. (agg. di Rossella Pastore)
Io non mi arrendo, ecco la storia Vera di Roberto Mancini il poliziotto che scoprì la Terra dei fiochi
Si basa sulla storia vera del poliziotto Roberto Mancini la sceneggiatura di Io non mi arrendo, la miniserie tv in onda questa sera in replica su Rai1 con i primi due episodi che ci introducono nella drammatica vicenda della terra dei fuochi, una terra – quella tra le province di Napoli e Caserta – segnata cioè dallo sversamento di rifiuti tossici all’interno delle discariche abusive entro cui si sviluppano i roghi caratteristici. La vicenda è correlata ai business delle cosiddette ‘ecomafie’, una realtà in parte smascherata dal poliziotto Mancini a partire dal 1994, anno di inizio delle indagini sul clan dei Casalesi, principali attori del traffico dei rifiuti.
La carriera in Polizia di Roberto Mancini
Roberto Mancini nasce a Roma nel 1960. Nella capitale frequenta il Liceo Ginnasio Statale Augusto, per poi arruolarsi nel 1980 nella Polizia di Stato. La sua attività più importante è legata proprio alle indagini sulla camorra e sui loro affari nella terra dei fuochi: nel corso degli anni, insieme alla sua squadra, ha prodotto una ricca informativa che nel 1996 consegnò alla direzione distrettuale antimafia di Napoli, scoprendo che il principale intermediario tra le aziende e i Casalesi era in realtà l’avvocato Cipriano Chianese, soprannominato ‘re’ delle ecomafie. Tra il 1998 e il 2001, Mancini collaborò con la Commissione rifiuti della Camera, per la quale esplicò diversi incarichi in Italia e all’estero. Il contatto ravvicinato con rifiuti tossici e radioattivi lo portò a contrarre il linfoma non-Hodgkin, che gli venne diagnosticato ufficialmente nel 2002.
Roberto Mancini, una ‘vittima del dovere’
La malattia dipendeva evidentemente da ‘causa di servizio’, motivo per cui a Mancini fu attribuito un indennizzo di 5 mila euro. Secondo Roberto Mancini, quella somma era insufficiente anche solo per il rimborso delle spese mediche. Morì il 30 aprile 2014 lasciando la moglie e una figlia. I suoi funerali si tennero a Roma presso la basilica di San Lorenzo al Verano. Presenti numerosi rappresentanti della Polizia di Stato e il parroco del rione Parco Verde di Caivano, don Maurizio Patriciello. Dopo la scomparsa, su iniziativa dei conoscenti e anche di alcuni politici, gli fu riconosciuto lo status di ‘vittima del dovere’.