Il noto scrittore Roberto Saviano, è stato ascoltato nella giornata di ieri presso il tribunale di Roma nell’ambito del processo in corso nei confronti di Francesco Bidognetti, clan dei Casalesi, nonché degli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D’Aniello, a seguito delle minacce a lui rivolte (e anche alla giornalista Rosaria Capacchione) in aula a Napoli, nel 2008, durante il processo d’Appello ‘Spartacus’. “Quell’elenco di nomi – alcune delle dichiarazioni di Roberto Saviano in aula, riportate dall’agenzia Adnkronos – in cui venivano additati anche ‘pseudogiornalisti’ sembrò un elenco funesto a tutti i nominati, non solo a me. Il messaggio intimidatorio per me erano i nomi alla fine del documento, la firma dei due boss, Bidognetti e Iovine. Un messaggio con una scelta precisa: indicare i responsabili della loro condanna”. Quindi Saviano ha ricordato come fino a pochi anni fa fosse quasi vietato parlare dei Casalesi: “Parlare dei Casalesi fu come accendere un faro su un animale abituato a vivere al buio, prima di Gomorra il clan raramente finiva sulle cronache”



ROBERTO SAVIANO: “NEL 2006 MI RIVOLSI AI BOSS ZAGARIA E SCHIAVONE…”

Lo scrittore Roberto Saviano, famoso in particolare per essere l’autore di Gomorra, ricorda poi un episodio chiave del 2006, che lo fece poi vivere sotto scorta: “Venni invitato a parlare a Casal di Principe nel 2006, dove interveniva l’allora presidente della Camera Fausto Bertinotti. Dal palco feci i nomi dei boss Zagaria e Schiavone e rivolgendomi a loro dissi ‘non siete di queste terre, siete assassini’. In piazza scese il silenzio. La scorta di Bertinotti mi disse ‘tu non te ne vai senza di noi’. Da quel momento iniziarono le minacce, come i volantini col mio volto e una pistola puntata alla tempia con la scritta ‘condannato’. Da quel momento decisero di darmi una protezione, per due settimane, mi dissero, invece da allora sono 15 anni che vivo sotto scorta”. Roberto Saviano ha svelato che in carcere girava voce che vi era un ordine per ucciderlo, e di conseguenza circolare era diventato sempre più una minaccia: “Non credo che una sentenza possa ripagarmi per tutto questo, è quasi una non vita. Si è fatta una battaglia politica sulla mia scorta ma vivere sotto scorta è un dramma, un inferno che io non ho mai chiesto. L’unico senso di colpa – ha concluso lo scrittore – che ho è verso i miei familiari, io ho scelto, mentre loro hanno subito una mia scelta”.

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