Nella bella intervista con Aldo Cazzullo sul “Corriere della Sera”, Roberto Vecchioni non fa quello che tre quarti degli artisti normalmente fanno nel parlare con i media: non finge, non “intorta” con pseudo discorsi moraleggianti e complicati. No, racconta gli opposti dentro di lui, il fatto che beveva e tanto con gli amici (e pure con il grande amico Francesco Guccini) e che ha voluto smettere e da 7 anni non tocca un bicchiere; racconta dei figli, del futuro, perfino dell’esistenza di Dio. Il tutto però con la spensieratezza di chi ancora a 78 anni gli piace canticchiare “Oh-Oh cavallo, oh-oh”.
Per il professore e cantautore Roberto Vecchioni la vita non va considerata “finita” solo per l’età che avanza inesorabile e lo comprende da ogni tema trattato nell’intervista: il rapporto con i colleghi cantautori – «Guccini? Un malinconico crepuscolare; Battiato un mattacchione dietro la timidezza» – ma soprattutto quello con i figli: di Francesca, l’unica figlia del primo matrimonio, Vecchioni racconta di averle sempre spronata a non cercare scorciatoie, «non piegarsi al potere, di non diventare opportunista. Non lo è diventata. È impegnata in Diversity, che difende le persone omosessuali e tutti coloro che subiscono discriminazioni. L’ho accompagnata ad Amsterdam per l’inseminazione artificiale, e ora ho due nipoti che sono gemelle, anche se molto diverse: Nina è bionda e alta, Cloe piccola e mora. Ho altre due nipoti da Carolina: Amelia ha otto anni, Adelaide tre».
VECCHIONI: “DIO, LA MALATTIA E LA LIBERTÀ”
Roberto Vecchioni è un nonno fantastico e si diverte a raccontarlo: «Sono un maestro di Mercante in fiera, invento indovinelli pazzeschi, e poi la caccia al tesoro, la tombola, ma anche gli scacchi, il bridge, i quiz… Pure le cose pericolose vanno affrontate come un gioco: un esame, una canzone da cantare per la prima volta, una malattia. Ho avuto tre tumori, tre operazioni, a un polmone a un rene alla vescica. Eppure ho compiuto 78 anni e sto benissimo». Ama il sogno e lo considera non una negazione della realtà, bensì una «sovrapposizione positiva della realtà. A volte la anticipa», come quando sognò di vincere Sanremo più di una volta (e nel 2011 successe davvero).
In “Samarcanda” Vecchioni racconta l’impossibilità dell’uomo di poter sfuggire davvero al proprio destino, ma su questo il “prof” milanese spiega di aver cambiato idea nel frattempo, «Il destino è una cosa che ti porti dentro; e dipende soprattutto da te. Certo, esiste il Caso; ma non la Necessità. Siamo noi che costruiamo la nostra sorte». Qui la confessione più intima ottenuta dalla domanda discreta di Cazzullo: «credo in Dio? Sì, e non le dirò la solita menata tipo “ci credo a modo mio”. Ci credo e basta. Da cattolico, sia pure poco praticante». Interessante però è il come Vecchioni si dice certo dell’esistenza di quel Mistero che tutto fa: «Perché il mondo è imperfetto. Se fosse perfetto, senza un clinamen, senza deviazioni, allora non ci sarebbe Dio. Invece Dio c’è, perché ci ha permesso, con il libero arbitrio, di affrontare il male e il bene». Come del resto i veri conoscitori dell’opera “vecchioniana” sanno, già nel testo poco conosciuto “La Stazione di Zima”, c’è eccome il tema del Dio che offre all’uomo la libertà anche di “tradirlo” ma che lo aspetta sempre per il “ritorno a casa”. E il mondo dopo la morte Vecchioni se lo immagina in due modi opposti ma entrambi “affascinanti”: «o come spiritualità pura, tipo Paradiso dantesco oppure come la vita che ricomincia da capo». E in quella nuova vita Vecchioni non si dice certo che potrebbe rifare il cantante, ma di sicuro l’artista: «di certo amerò moltissimo».