“DIO ESISTE ED È MERAVIGLIOSO”: ROBERTO VECCHIONI PER I SUOI 80 ANNI RACCONTA L’INCONTRO CON LA FEDE
80 anni e non sentirli… o meglio, sentirli tutti ripercorrendo le gioie e i dolori di un’esistenza intensa come quella di Roberto Vecchioni. Nella lunga intervista al “Corriere della Sera” per celebrare le 8 decadi compiute proprio oggi 25 giugno 2023, il cantautore e paroliere milanese torna su uno dei suoi testi meno “famosi” ma non per questo meno importanti nella sua lunga carriera musicale (e che a chi vi scrive è particolarmente affezionato, ndr).
«Ho trovato Dio ad un certo punto», racconta Vecchioni, e c’è una canzone che lo spiega: si tratta de “La stazione di Zima” (album “El bandolero stanco” del 1997), «nasce dal poeta Evtuscenko. Io sono in treno con una persona, con qualcuno che è probabilmente Dio. Lui mi dice “vieni con me, ti porto in un posto meraviglioso”». E Vecchioni ricorda di rispondere in maniera negativa: «sono ancora nell’incertezza tra il laico e il sacro. Dico no e scendo alla prima stazione che c’è, Zima. È orribile, c’è un solo vaso di fiori ed una sola luce che si rompe sempre. Però è la terra e io voglio vivere». La vita, come diceva Pasternak – ricorda ancora l’80enne Roberto – non è un’anticamera, è già una sala importante della grande casa che è l’esistenza: ragionando sul male, sulle sofferenze, sulle fatiche e le domande, «mi sono detto che non può non esserci una contropartita. Deve esserci qualcosa perché non può finire così». Vecchioni racconta come quella riscoperta di fede era in qualche modo già emersa anni fa ed è il secondo momento più bello della sua vita, ammette, dopo l’incontro con la moglie Daria Colombo: «il secondo momento meraviglioso è aver capito finalmente la possibilità che esista Dio».
VECCHIONI: “SENTO MIO FIGLIO ARRIGO DENTRO DI ME”. IL BRANO DEDICATO
Roberto Vecchioni ammette di non averlo capito all’epoca delle grandi contestazioni della sinistra in Università di cui l’autore era un fervente sostenitore: «non l’avevo capita né quando ero sulle barricate all’università, né dopo, per il tutto il tempo che ho vissuto. Non vedevo. Ci sono state persone che hanno illuminato questa ricerca, come monsignor Ravasi». Scoprire in tarda età la fede non è affatto un momento “sprecato”, come sottolineato dallo stesso Vecchioni nel 2021 in un’altra bella intervista al “Corriere della Sera” con Aldo Cazzullo: «credo in Dio? Sì, e non le dirò la solita menata tipo “ci credo a modo mio”. Ci credo e basta. Da cattolico, sia pure poco praticante. Ci credo perché il mondo è imperfetto. Se fosse perfetto, senza un clinamen, senza deviazioni, allora non ci sarebbe Dio. Invece Dio c’è, perché ci ha permesso, con il libero arbitrio, di affrontare il male e il bene».
Ed è proprio in un passaggio della “Stazione di Zima” che si cela quel principio di conversione poi riconosciuta anni dopo a ridosso degli 80 anni: in quella canzone c’è eccome il tema del Dio che offre all’uomo la libertà anche di “tradirlo” ma che lo aspetta sempre per il “ritorno a casa”, «Guardami, io so amare soltanto come un uomo; Guardami, a malapena ti sento. E tu sai dove sono; Ti aspetto qui, Signore, Quando ti va, alla stazione di Zima». In un’altra canzone di Vecchioni c’è invece un fortissimo riferimento al dolore forse più grande provato dal cantautore, ovvero la morte del figlio Arrigo lo scorso 18 aprile: «Figlio che si è preso il tuo domani, quelli che hanno il mondo nelle mani», canta Vecchioni in “Figlio, Figlio, Figlio”. E così a Walter Veltroni oggi sul “Corriere” confessa che quel testo lo ama tantissimo in quanto dà un ritratto di parte del rapporto con Arrigo, sofferente di disturbi bipolari fino alla morte ancora in giovane età: «Lo sento dentro fortissimo, mio figlio, lo sento intensamente, Arrigo, me lo rivedo dentro continuamente. È stata una cesura tra una vita e l’altra, lo è stato ancora di più per mia moglie». Eppure, ammette Vecchioni, la morte del figlio non l’ha presa come un’ingiustizia di quel Dio che sta imparando a “conoscere”: «Forse dalla felicità non si impara un ca**o. Si impara solo soffrendo, sperando di tornare alla felicità. È stato il crollo del mondo, dell’universo, ma non di certezze e ideali». Non ci resta che dirti tanti auguri Roberto.