Una vergognosa protesta di militanti e collettivi “no life” ha impedito ieri alla ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, di intervenire alla quarta edizione degli Stati generali della natalità a Roma nell’auditorium di via della Conciliazione, a due passi da San Pietro. Appena la Roccella si è avvicinata al microfono, un gruppo di giovani ha cominciato a urlare, alzare cartelli e contestare per zittire la ministra. Non è bastato che l’organizzatore degli Stati generali, Gigi De Palo, desse la parola a una degli attivisti che ha ripetuto i soliti slogan del tipo “Sui nostri corpi decidiamo noi”.



La pesante censura ha indotto la ministra, molto scossa, a togliere il disturbo senza poter parlare. “Ho scelto di lasciare gli Stati generali della natalità”, ha poi spiegato, per consentire alle persone che erano sul palco con me, una mamma incinta di otto mesi che portava la sua testimonianza e il presidente del Forum delle famiglie Adriano Bordignon, di poter parlare senza subire la mia stessa sorte di censura. E invece neanche questo è stato sufficiente…”.



“Si è trattato di una profonda ostilità verso la maternità e la paternità, verso chi decide di mettere al mondo un figlio, esercitando la propria libertà e senza nulla togliere alla libertà altrui, ma contribuendo a dare un futuro alla nostra società. Quello che si contesta, alla fine, è la maternità come libera scelta”, ha dichiarato Roccella. Ma il caso è diventato subito anche politico quando su Facebook ha aggiunto: “Ora mi aspetto solidarietà dalla sinistra. Sono certa che la segretaria del Pd Elly Schlein, gli intellettuali – Antonio Scurati, Roberto Saviano, Nicola Lagioia, Chiara Valerio –, la ‘grande stampa’ e la ‘stampa militante’ che abbiamo visto in queste ore mobilitata in altre sedi, i podisti della libertà e della democrazia avranno parole inequivocabili di solidarietà nei miei confronti dopo l’atto di censura”.



Le speranze della ministra sono cadute nel vuoto. Solidarietà le è arrivata dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha parlato di “spettacolo ignobile” messo in atto da “un gruppo di contestatori che si riempiono la bocca delle parole libertà, rispetto e autodeterminazione delle donne, ma poi amano la censura e impediscono a una donna di parlare perché non ne condividono le idee”. Vicinanza alla Roccella è stata espressa da tutto il centrodestra. Il messaggio più significativo è stato però quello del capo dello Stato. Sergio Mattarella ha telefonato alla ministra esprimendo solidarietà e sottolineando che “voler mettere a tacere chi la pensa diversamente contrasta con le basi della civiltà e con la nostra Costituzione”.

È stato un vero peccato non potere sentire la voce del Governo ieri mattina. Ed è un peccato che, vittima della censura, il tema del calo delle nascite e degli aiuti alle famiglie resti ancora confinato nel campo delle polemiche politiche. Dopo la gazzarra dei “no life” e le reazioni del centrodestra, la natalità è tornata a essere tema di scontro su chi è più fascista. De Palo invece ha ripetuto che “gli Stati generali sono un luogo che non ha colori politici e che permette a tutti di dire la propria”. È necessario tornare a occuparsi dei provvedimenti concreti, conoscere le linee guida che il Governo intende seguire a favore della famiglia e anche che giudizio dà l’esecutivo alle proposte di De Palo, come per esempio la creazione di un’Agenzia governativa per la natalità dotata di finanziamenti pubblici sul modello del Giappone, Paese afflitto da un’emergenza demografica paragonabile a quella italiana.

Era prevedibile che il tema della natalità, che è poi quello della maternità, fosse assorbito completamente dai toni ideologici nei quali si è inalveato il confronto maggioranza-opposizione, diventando un’appendice del 25 aprile e del monologo di Scurati, entrambi monopolizzati da quella sinistra fintamente tollerante che assegna patenti di legittimità democratica. Ma c’è un’altra lezione che viene dall’Auditorium della Conciliazione. In questo clima, ogni accento posto sull’emergenza natalità viene facilmente recepito dai giovani come un invito a “fare figli”, ed ogni iniziativa – sempre necessaria, sempre tardiva – a sostegno delle famiglie come una misura impositiva ispirata, per quelli più ideologizzati, al ventennio fascista. E i giornaloni non aiutano. Anzi, dove possono, confondono. Difficilmente ci sono argomenti persuasivi contro quel “Decido io” stampato sui cartelli degli studenti “no life”. La strada da fare è ancora lunga, lunghissima. Forse le riforme “pro life” parlano più delle parole. Anche di quelle animate dalle migliori intenzioni.

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