Giovanni Chinnici, a 40 anni di distanza dall’uccisione del padre Rocco Chinnici, ha pubblicato un libro sulla sua vita dal titolo “Trecento giorni di sole”. Il figlio del magistrato, ospite a Oggi è un altro giorno, ha raccontato il dramma vissuto dalla sua famiglia il 29 luglio 1983, il giorno dell’attentato. “Non ho capito subito cosa fosse successo. Ero in piedi davanti a letto e caddi all’indietro, come se mi avessero spinto”, ha ricordato.



In casa, in quel momento, c’era anche la sorella. “Ho iniziato a realizzare quanto sentii Elvira , che era dall’altra parte dell’appartamento, gridare ‘papà, papà’. È stata una sensazione terribile, perché lì ho capito cosa era accaduto. Ci siamo precipitati giù dalle scale, ma non riuscivamo ad orientare. L’androne del palazzo era completamente sventrato, non capivamo dove ci trovassimo”. Rocco Chinnici stava uscendo, infatti, quando una Fiat 126 imbottita di esplosivo esplose davanti alla sua abitazione in via Giuseppe Pipitone Federico, a Palermo. Insieme al magistrato, morirono il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta, e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi.



Rocco Chinnici: il figlio Giovanni racconta l’attentato

L’attentato a Rocco Chinnici fu una tragedia annunciata. “Mio padre aveva la lucida consapevolezza che sarebbe stato ucciso. Non sarebbe ‘forse’ successo, era ‘sicuro’. Il rischio era la normalità. A casa ne parlava con serenità, noi lo abbiamo vissuto in questo stesso modo insieme a lui. La preoccupazione c’era, ma era razionale”, ha raccontato il figlio Giovanni Chinnici nel salotto di Serena Bortone.

È proprio per questo motivo che il magistrato pensò di istituire un pool anti-mafia, che diede una svolta decisiva nella lotta contro Cosa nostra. “Fu il frutto di una esigenza tecnica, ma anche della consapevolezza che sarebbe stato ucciso. Le indagini erano complesse, un singolo giudice non poteva affrontarle. È per questo che volle condividere le informazioni che aveva con un gruppo di persone fidate. La scelta si rivelò vincente. Gli altri giudici portarono avanti il suo lavoro fino al maxi processo, che fonda le sue basi sull’ufficio diretto da mio padre”.