La sera del 6 agosto nella piazza del Popolo di Pesaro ha avuto luogo, nel quadro del Rossini Opera Festival 2020, un’anteprima di grande rilievo (l’inizio ufficiale del Festival è stato l’8 agosto): un’esecuzione della Petite Messe Solennelle “in omaggio a tutti gli operatori al servizio della collettività” e “in memoria delle vittime della pandemia”. L’esecuzione è stata preceduta da quattro brevi introduzioni del Presidente della Regione Marche, del Sindaco di Pesaro, del Presidente della Fondazione Rossini e del Sovrintendente del Rof. Pesaro, e in particolare il suo Conservatorio, sono stati particolarmente colpiti dal coronavirus.
La Petite Messe Solennelle è una delle ultime composizioni di Rossini. Scritta nel 1863, quando il compositore aveva 71 anni, decenni dopo da quando a soli 37 anni si era messo a riposo dalla composizione di opere e, grazie a un contratto capestro concluso con lui dall’Académie Royale de Musique, dopo cinque anni di battaglie legali, la Corte di Cassazione francese gli aveva concesso una lautissima pensione in franchi oro. Rossini è nato e cresciuto in un ambiente cattolico (anche se suo padre era un rivoluzionario che combatteva il potere temporale della Chiesa), ma non ha mai mostrato indole per musica sacra o spirituale. La sua altra composizione religiosa (lo Stabat Mater) era frutto di una ricchissima commessa dell’Arcidiacono di Lisbona. La Petite Messe, invece, non aveva committenti, o meglio il committente era lui stesso.
Ricco, ma invecchiato precocemente anche a ragione di malattie contratte quando era molto giovane, cercava qualcosa di nuovo. Non solo la Fede, ma anche nel campo musicale. In effetti, la Petite Messe non solamente non tiene conto della musica sacra dell’epoca, ma salta di un balzo il romanticismo (allora imperante) e propone soluzioni musicali avveniristiche che si svilupperanno ben oltre la metà dell’Ottocento per giungere agli inizi del Novecento. Ciò spiega perché, nonostante il successo ottenuto in Francia, la prima esecuzione italiana avvenne nel 1942, grazie all’insistenza di Vittorio Gui (che la concertò), a Santa Croce a Firenze.
La Petite Messe fu scritta per dodici cantanti, di cui quattro solisti, due pianoforti e un harmonium. Rossini la volle anche orchestrare (nel 1867) sia perché spinto da più parti, ma, soprattutto, per mostrare a se stesso la propria capacità di orchestratore dato che l’ultima volta era stata in occasione del Guglielmo Tell (1829). Da allora, si dedicò ugualmente alla composizione quasi interamente alla musica da camera (che chiamava i suoi “peccati di vecchiaia”). Chiamò la Petite Messe, composta cinque anni prima della sua morte, “ultimo dei miei peccati di vecchiaia”.
A riguardo della partitura, Rossini stesso tenne a precisare: “la Petite Messe Solennelle, composta per la mia villeggiatura di Passy. Dodici cantori di tre sessi, uomini, donne e castrati, saranno sufficienti per la sua esecuzione. Cioè otto per il coro, quattro per il solo, un totale di dodici cherubini: Dio mi perdoni l’accostamento che segue. Dodici sono anche gli Apostoli nel celebre affresco di Leonardo detto La Cena, chi lo crederebbe! Fra i tuoi discepoli ce ne sono alcuni che prendono delle note false! Signore, rassicurati, prometto che non ci saranno Giuda alla mia Cena e che i miei canteranno in modo giusto e con amore le tue lodi e questa piccola composizione che è, purtroppo, l’ultimo peccato mortale della mia vecchiaia”.
Dopo che il lavoro fu terminato, scriveva nel manoscritto in calce all’Agnus Dei: “Buon Dio, eccola terminata questa umile piccola Messa. È musica benedetta, quella che ho appena fatto, o è solo della benedetta musica? Ero nato per l’opera buffa, lo sai bene! Poca scienza, un poco di cuore, tutto qua. Sii dunque benedetto e concedimi il Paradiso”.
Ecco dunque che la Petite Messe può essere considerata il testamento spirituale di Rossini, forse già presago della sua prossima morte.
Questa lunga premessa illustra come l’opera sia stata particolarmente adatta sia a rendere omaggio agli operatori sanitari, sia a ricordare le vittime del Covid-19. È stata eseguita l’edizione critica. I due pianisti (Giulio Zappa e Ludovico Bramanti) e Luca Scandali all’harmonium hanno messo egregiamente in risalto la modernità di questa partitura i cui quattordici pezzi sono ricchi di inventiva armonica e si inserisce fra le composizioni di spiccata originalità, fornite di un’alternanza tra musica da chiesa e musica profana. Ottimi i quattro interpreti vocali: Mariangela Sicilia, Cecilia Molinari, Manuel Amati e Mirco Palazzi. Di livello il coro del Teatro della Fortuna di Fano, guidato da Mirca Bresciani. Alessandro Bonato ha concertato il tutto.
Molto bello il Gloria in cui Mariangela Sicilia ha dialogato con il coro e il terzetto in cui Cecilia Molinari, Manuel Amati e Mirco Palazzi intonano il Gratias Agimus. Manuel Amati sfoggia la sua tessitura alta nel Domine Deus. Il Credo ha offerto al coro l’occasione di essere protagonista e O Salutaris Hostia a Mariangela Sicilia di mostrare a pieno la sua vocalità.
Applausi molto sentiti e commossi.