ROGER FEDERER SI RITIRA: FINISCE UN’ERA
“La Laver Cup sarà il mio ultimo evento Atp. Giocherò ancora a tennis in futuro, questo è certo, ma non negli Slam o in tornei Atp”. Con queste dichiarazioni, poste in fondo ad una nota ufficiale pubblicata sugli account social, Roger Federer annuncia il proprio ritiro dal tennis. È la fine di un’era: una manciata di giorni dopo Serena Williams anche il Re, che è suo coetaneo, dice stop. Aspettavamo questo momento da tempo, con tanta ansia – perché è sempre così quando una leggenda sceglie di smettere: sapevamo che non mancava molto, in passato abbiamo sospettato che ci fossimo e invece Federer, anche lontano dai campi (e ormai è così da un po’) proseguiva per la sua strada. Adesso, quel momento è arrivato: Roger Federer si ritira.
Cosa possiamo dire che non sia già stato detto? Quando uno sportivo del suo calibro appende i ferri del mestiere al chiodo, il problema è che la narrativa è già completa. Se vogliamo ridurci ai freddi numeri possiamo citare 20 Slam (terzo di tutti i tempi), 103 titoli da professionista (secondo di tutti i tempi), 54 grandi titoli (Major, Atp Finals e Masters 1000, terzo di tutti i tempi), 310 settimane in testa al ranking (secondo di tutti i tempi) e 237 consecutive (record assoluto), 6 titoli alle Finals (record assoluto) un oro olimpico nel doppio e un argento olimpico nel singolare, 8 vittorie nel singolare a Wimbledon (record per il tennis maschile). Questi però sono numeri: la grandezza di Roger Federer sta sì nelle cifre – che sono oggettive e hanno un certo peso specifico – ma anche in altro, in tanto altro.
Intanto, la grandezza di Federer sta nello stile: sarà un clichè ed è stato vero solo a un certo punto, ma il Re è diventato Re anche per il regale aplomb, che certo perdeva a volte anche quando era già monarca del tennis ma che ne ha sempre fatto un modello per chi andasse in cerca del volto pulito dello sport. Le cronache hanno innalzato anche personaggi molto meno british (John McEnroe) ma le medaglie hanno sempre due facce: Federer, signore nelle sconfitte e posato nelle vittorie, ci ha dimostrato che si può governare un regno restando umili e impeccabilmente presentabili, non solo per i maglioncini che sfoderava sui campi di Wimbledon.
Grande ancor più perché lo ha imparato: nei giorni in cui il talento emergeva ma non lo faceva esplodere (David Nalbandian, sua prima nemesi, ne sa qualcosa) le racchette le rompeva anche lui. Eccome. In questo, si accomuna a Bjorn Borg di cui curiosamente ha eguagliato il record per i titoli consecutivi ai Championships: anche l’imperturbabile svedese era un giovane tennista portato alle mattane. Entrambi hanno fatto un percorso che li ha portati a interiorizzare il più possibile: da lì sono arrivate le vittorie. Federer è stato grande anche in questo, nel cammino che lo ha portato a essere Federer.
Poi, la grandezza di Federer sta nell’aver ridato vigore al tennis. La prima vittoria a Wimbledon è del 2003: all’epoca Pete Sampras era un ex giocatore, Andre Agassi c’era ma non certo come un tempo, la generazione Usa dei Jim Courier e Michael Chang imboccava insomma il viale del tramonto. A vincere erano Lleyton Hewitt, Andy Roddick, Marcelo Rios, Marat Safin, Juan Carlos Ferrero: forti, anche fortissimi, ma alzi la mano chi oggi li inserirebbe in una ideale classifica dei più grandi di sempre. Giusto: nessuno. Poi è arrivato Federer, e ha riscritto tutto: tra il 2004 e il 2008 ha giocato 17 finali Slam sulle 20 disponibili, e ne ha vinte 12.
Semplicemente, non lo battevi mai: il quinquennio in questione lo ha reso immortale, ma ha avuto anche l’effetto di innalzare il movimento. Succede sempre così quando arriva un alieno: bisogna elevarsi per intercettarlo e fermarlo. Senza Federer, insomma, non ci sarebbero stati Rafa Nadal e Novak Djokovic; senza Nadal e Djokovic, probabilmente Federer avrebbe smesso parecchio prima. Invece abbiamo vissuto l’epoca dei Big Three, quelli dei 63 Slam e 177 Big Titles combinati; Roger è quello che ha aperto questo momento d’oro del tennis. Qualcuno dirà che era meglio quando andavi al pub per farti una birra e ci trovavi Connors, McEnroe Gerulaitis e Panatta già impegnati nella pratica; qualcuno dirà che adesso puoi seguire tutti sui social, ed è “cool”; parecchi concorderanno sul fatto che questi tre hanno riscritto ogni regola e primato precedentemente esistenti. Ed è un bene, perché probabilmente senza di loro non avremmo oggi Alcaraz e Sinner, e una rivalità che promette epica costante.
Su questo, tra l’altro, andrebbe aperta una parentesi. Se dal 2004 al 2008 Federer ha dominato, negli anni seguenti di Slam ne ha vinti “appena” 6. Comunque un numero in assoluto alto, ma nettamente inferiore a quello dei rivali. Che, nello specifico, sono stati 22 per Nadal (cioè tutti quelli in bacheca) e 20 per Djokovic (l’unica eccezione è l’Australian Open del 2008). Non solo, dopo il quarto titolo a Melbourne nel 2010 Federer ha festeggiato in appena 4 occasioni, facendo passare parecchio tempo tra il sesto Wimbledon (2012) e il seguente trofeo Major (Australian Open 2017).
I motivi? Ecco, qui si esce dal campo dell’oggettività e in quello per cui, anticipiamo, non si possono dare etichette di GOAT (Greatest Of All Time): un po’ l’età (ricordiamo che Federer ha cinque anni più di Nadal e sei di Djokovic), un po’ però, e questo è un parere certamente anche personale, il fatto che i due con cui si è trovato a rivaleggiare ad un certo punto lo hanno superato. Non è un caso, non può esserlo, che quando Rafa e Nole sono diventati quello che sono, Roger abbia smesso di dominare il tennis. Intendiamoci: contro tutti gli altri scherzava a occhi chiusi. Contro loro due, no. Non è una macchia, non è un attestato di inferiorità, è una constatazione che lo rende ancora più grande: ci sono voluti due altri alieni per fare meglio dell’alieno Re.
Toglie qualcosa alla grandezza di Federer? Assolutamente no: lo abbiamo detto, vanno bene i numeri, ma ci scuseranno fan, appassionati e innamorati del Re se ci rifiutiamo di definire Roger come il più grande tennista di tutti i tempi. Non per lui, né per Nadal e Djokovic: per tutti gli altri, perché il tennis cambia nello spazio di cinque anni, volendo anche per le cifre. Perché se fosse questione di Slam (alla fine è sempre il riferimento per tutti) allora sarebbe Nadal; se fosse per le imprese impossibili, sarebbe Rod Laver che per due volte ha fatto il Grande Slam di calendario (e dopo di lui nessun altro); se fosse per la manifesta superiorità sugli avversari, non si potrebbe non citare Bill Tilden, e ne lasciamo fuori altri che magari una menzione la meriterebbero pure. Altri tempi? Certamente, ma anche solo fra 30 anni lo diremo anche per i Big Three e, anzi, potremmo già dirlo con Sinner e Alcaraz ancora sui campi.
A corredo del ritiro di Federer non possiamo che dire una cosa soltanto: siamo grati per averlo potuto ammirare sui campi di tennis, così a lungo e che ne fossimo tifosi, semplici simpatizzanti o magari anche “onestamente avversi”. Lo ringraziamo per aver reso ancor più meraviglioso questo sport, come i tanti che lo hanno preceduto e come i tanti che lo seguiranno. E, in fondo al cassetto di tutta la storia, non possiamo che notare come Federer, e questo è il suo reale capolavoro, ha messo d’accordo tutti: raramente, nel mondo dello sport, si è visto un coro unanime a favore di un singolo atleta. Forse, probabilmente, la corona l’ha guadagnata per questo. Buona nuova vita Roger: ci scuserai se alla Laver Cup ci verranno gli occhi lucidi.