Tra le immagini più cruente degli anni di piombo, di quella “guerra” che insanguinò l’Italia per oltre un decennio, c’è quella del volto di Virgilio Mattei, terrorizzato e stravolto dalle fiamme che lo hanno poi divorato insieme al fratello di 8 anni, Stefano. Fu il fotografo di cronaca nera Antonio Monforte a scattare la foto del rogo di Primavalle, alla periferia nord-ovest di Roma. I due erano figli di Mario Mattei, netturbino e segretario locale del Msi minacciato più volte dai “rossi”. Come evidenziato dal Dubbio, questa è la storia di «una strage negata dal furore ideologico e dai depistaggi». L’obiettivo era Mario Mattei: volevano dargli una lezione. Così alcuni militati di Potere operaio arrivarono a via Bibbiena a notte fonda con una tanica da dieci litri di benzina, diserbante e zucchero, insieme ad una miccia. Fecero scivolare il liquido sotto la porte della famiglia Mattei, appiccarono il fuoco e scapparono via. L’incendio divampò subito, così come tutto si consumò in pochi minuti.



Per Virgilio e Stefano Mattei non ci fu nulla da fare. Sul marciapiede fu trovato un biglietto firmato dalla Brigata Tanas, un gruppo semiclandestino che si muoveva autonomamente all’interno del Potere operaio. I giudici che hanno condannato Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo a 18 anni per omicidio preterintenzionale, come autori materiali della strage, stabilirono che il commando non voleva uccidere i figli di Matteo, pur accettandone il rischio. Doveva essere un’azione dimostrativa finita però in tragedia. A sorprendere di questa vicenda, come evidenziato da Daniele Zaccaria, non solo la violenza dei fatti e il fatto che gli attentatori fossero ragazzi della borghesia romana, mentre le vittime dei “figli del popolo”, ma l’ondata negazionista cavalcata dalla sinistra. «Di fronte alla morte di due ragazzi arsi vivi nel proprio letto, hanno infatti reagito con la stessa sprezzante omertà di un clan mafioso, infamando e depistando».



ROGO DI PRIMAVALLE, DEPISTAGGI E NEGAZIONISMO SINISTRA

Il rogo di Primavalle fu dipinto come una vicenda interna ai fascisti, un regolamento di conti nel Msi, con l’incendio appiccato addirittura all’interno dell’abitazione. Un rogo a porte chiuse. Si parlava di una «montatura» frutto di «una trama costruita affannosamente, a caldo da polizia e magistratura» per trasformare un «banale incidente» nato e sviluppatosi «nel vermicaio della sezione fascista del quartiere». Quindi, fu descritto come un complotto per reprimere la sinistra extraparlamentare. Ma questa pista non è mai stata presa in considerazione dall’inchiesta giudiziaria affidata al sostituto procuratore Domenico Sica, così come è stata scartata anche dalle sentenze. Achille Lollo, rimesso in libertà in attesa del processo di primo grado, riuscì a scappare dall’Italia e a rifugiarsi in Brasile con l’aiuto di Soccorso rosso e una campagna “innocentista” che vide tra le personalità più attive, come ricordato dal Dubbio, Franca Rame, che offrì a Lollo soldi per fuggire e poi scrisse al presidente della Repubblica Giovanni Leone una lettera con testi complottiste e ideologismo, tra telefonate misteriose e la questione della benzina entrata in casa con la porta chiusa…

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