Si apre oggi una settimana cruciale per il Governo e per il rapporto tra l’Italia e l’Unione europea. È atteso il giudizio della Commissione sulla Legge di bilancio, giovedì si riunisce il consiglio della Bce e deciderà un nuovo rialzo dei tassi d’interesse, il giorno dopo ci sarà un vertice per fare il punto sul Pnrr, mentre si è riaccesa la vexata quaestio sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità detto anche “salva-Stati” e si ripropone il contrasto interno alla maggioranza sulle navi delle Ong e l’accoglienza dei migranti.
Sulla manovra per il 2023 c’è da attendersi un via libera in base a un giudizio nel suo insieme positivo, anche se non mancheranno i moniti per il prossimo futuro. La Commissione mette l’accento su due punti chiave: la copertura delle spese e la dinamica del Pil, i fattori decisivi per capire se il debito tornerà a salire. Sarebbe grave sprecare il boom dello scorso biennio quando l’Italia è cresciuta più di Germania e Francia messe insieme. Un pericolo tutt’altro che remoto visto il rialzo degli interessi. La finanziaria, come si chiamava un tempo, non è arrivata in porto, anzi la sua navigazione parlamentare è travagliata. Sono stati presentati in partenza tremila emendamenti, dopo una drastica scrematura ne sono rimasti 450 divisi in modo quasi uguale tra maggioranza e opposizione. Il Governo vuole evitare il ricorso all’esercizio provvisorio e ha deciso di fare gli straordinari natalizi, ma non sarà facile, così che dovrebbe porre la fiducia: Giorgia Meloni preferisce evitarlo, tuttavia esclude di arrivare al 31 dicembre senza il via libera del Parlamento.
Altrettanto ingarbugliata la questione del Pnrr. Raffaele Fitto, ministro degli Affari europei, ha convocato per venerdì a palazzo Chigi la cabina di regia con tutti i ministri e sottosegretari competenti sulle destinazioni dei finanziamenti. Potrebbe partecipare anche Giorgia Meloni. Si spera che possa emergere una road map più chiara dopo la lettera inviata ai presidenti di Regione e ai ministri, e in seguito agli incontri per verificare anche l’utilizzo dei Fondi europei 2014-2020 e delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione molte delle quali inutilizzate. Fitto è fiducioso che saranno raggiunti i 30 obiettivi che restano dei 55 necessari per ricevere 19 miliardi, ovvero l’ultima tranche per il 2022, ma ha comunque preparato un decreto, per contenere e licenziare quelle norme, più complicate di altre, che non dovessero essere portate a compimento.
Sul Mes si sono manifestate divisioni trasversali nel Governo: Meloni è per il sì, Salvini per il no, in Forza Italia si ripropone il contrasto tra il ministro Tajani (favorevole) e la capogruppo al Senato Licia Ronzulli (contraria). La questione non è secondaria e alcune critiche sono più che fondate: il meccanismo nato dieci anni fa non tiene conto dei cambiamenti enormi avvenuti in questo decennio tanto che si sta discutendo su come riformare il Patto di stabilità, il suo esito è decisivo per capire quali parametri dovrà rispettare il Governo che chiede il salvataggio. La Corte suprema tedesca ha respinto l’obiezione sollevata dai liberali sul rischio di violare la sovranità nazionale, ma resta la ben più concreta questione delle sanzioni. Tuttavia, la divergenza in Italia sembra legata alle turbolenze interne alla maggioranza più che alle proposte su come aggiornare e applicare il Mes.
Anche sui profughi si è riproposto un braccio si ferro tra il ministro degli Esteri Antonio Tajani e quello degli interni Matteo Piantedosi (dietro il quale opera Matteo Salvini), il quale ha dovuto rinunciare al nuovo braccio di ferro. L’indicazione arrivata da palazzo Chigi è stata chiara, a sostegno della linea morbida di Tajani che non condivide la campagna leghista. I porti, dunque, rimangono aperti alle navi delle Ong anche se “non è un dietrofront” come spiega una nota del Viminale.
Abbiamo lasciato per ultimo l’appuntamento di giovedì anche se è estremamente importante. Viene dato per scontato un nuovo rialzo dei tassi di riferimento, si spera che nella Bce prevalga la linea prudente sostenuta dall’Italia. Ma la Presidente Christine Lagarde non si è dimostrata finora una guida sicura (per usare un eufemismo diplomatico) e non appare nemmeno molto ferrata in materia, quindi è esposta alle folate di vento che vengono soprattutto dal nord. Capiremo meglio se i primi segnali di raffreddamento dell’inflazione potranno essere confermati, e cercheremo di capire come verrà gestita la partita forse ancor più delicata: il “Quantitative tightening”, cioè la riduzione del portafoglio di titoli (circa 5.100 miliardi di euro, il 40% del Pil della zona euro) che può creare una forte pressione sui Btp. In che modo? A mano a mano che i titoli arrivano a scadenza, si libera liquidità che la banca non reinveste integralmente, quindi si assottiglia il portafoglio e si riduce la moneta in circolazione. Governi, banche e imprese dovranno finanziarsi sul mercato con costi più elevati.
La Bce detiene titoli di stato italiani per 773 miliardi di euro. Secondo alcune stime, il disinvestimento a partire dal prossimo gennaio dovrebbe riguardare circa 80 miliardi in due anni, dunque non si tratta di un impatto rilevante. Ancora una volta, però, conta la qualità più della quantità, cioè è in gioco la credibilità della politica economica italiana per convincere i risparmiatori a comprare Btp. Ciò riguarda gli investitori esteri, ma anche le banche italiane che, tra grandi e piccole detengono titoli del debito sovrano per circa 500 miliardi di euro.
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