Una rivolta di diversi migranti – e non è la prima al centro di permanenza per i rimpatri di Ponte Galeria – ha visto nelle scorse ore la fuga di almeno 13 elementi finora accolti nel centro alla periferia di Roma: tutto è accaduto venerdì sera ma è stamattina che il Sap (sindacato autonomo di Polizia) ad aver reso pubblica la rivolta e la conseguente fuga della dozzina di clandestini, scappati nelle campagne che circondano il centro rimpatri. Secondo quanto riportato dall’Adnkronos, pare che la rivolta sia cominciata perché molti migranti lamentavano cibo non buono o addirittura scaduta e che avevano pochi cellulari a disposizione per le comunicazioni: a quel punto, nella confusione generale, in 13 si sarebbero allontanati e tra di loro vi sarebbe anche un elemento sospetto. In tutto in realtà sarebbero 25 gli ospiti provenienti da Egitto, Gambia, Tunisia e Algeria ad essere fuggiti, ma 12 sono stati catturati poco dopo la fuga, 13 invece sono tuttora in circolazione.



LA DENUNCIA DEL SAP “C’È ANCHE UN SOSPETTO TERRORISTA”

«Tra i fuggiaschi ci sarebbe un algerino monitorato dall’Antiterrorismo per sospetta attività jihadista», spiega il Messaggero citando fonti del Sap. È lo stesso sindacato poi a fare uscire una nota in cui spiega l’accaduto nel centro rimpatri di Ponte Galeria a Roma: «Intemperanze si erano registrate già nelle settimane precedenti. I dormitori vennero chiusi nel 2015 dopo che un incendio appiccato dagli stranieri li rese inagibili ed è già tutto di nuovo danneggiato. Incontrerò il Questore e gli chiederò di separare meglio gli ambienti interni dall’esterno, di rinforzare e rendere più asettica la struttura e di evitare che gli ospiti possano raggrupparsi troppo facilmente», spiega Massimiliano Cancrini della segreteria provinciale Sap. La rivolta è esplosa venerdì scorso quando una squadra normalmente in forza al Cpr era invece stata destinata nel centro di Roma per la manifestazione in appoggio a Sea Watch e Carola Rackete «a cui hanno partecipato sì e no 30 persone. Per gestire chi dimostra pericolosità sociale c’è bisogno di investire in uomini, mezzi e infrastrutture» attacca Andrea Cecchini di Italia Celere. Si teme ora soprattutto per il sospetto jihadista, «aveva appena finito di scontare la pena in carcere per altri reati, ma nel corso della sua permanenza in una prigione romana si sarebbe radicalizzato alla causa dell’Is, lo Stato islamico, abbracciandone credo e dettami», riporta il Messaggero. Per questo motivo sulla vicenda la Digos di Roma ha subito avvisato il procuratore aggiunto Francesco Caporale che coordina il pool di magistrati che si occupa di terrorismo.

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