Il Pubblico Ministero di Roma, Stafano Luciani, ha chiesto il rinvio a giudizio per un marito ed un medico, accusati di aver ucciso con un’iniezione letale una donna (moglie dell’uomo) affetta da una malattia terminale. Il caso è, di per sé, ancora aperto e i due imputati dovranno rispondere alle accuse il prossimo 10 novembre in un’udienza preliminare nel corso della quale la gup Daniela Ceramico D’Auria dovrà decidere sulla richiesta del PM, prosciogliendo o disponendo il processo per i due imputati. Insomma, in altre parole quanto avvenuto a Roma sarebbe un caso di eutanasia, vietata dalla legge, ma secondo il marito della vittima esplicitamente richiesto dalla stessa.
Il caso a Roma della malata terminale uccisa con iniezione
Il fatto su cui si dovrà esprimere il gup di Roma il prossimo novembre risale alla notte del 13 gennaio 2019 all’interno dell’Idi, ovvero l’Istituto Dermopatico dell’Immacolata, nel quale la donna era ricoverata già da diverso tempo in condizioni ormai diventate critiche. Un anno prima, infatti, le era stato diagnosticato un tumore maligno al colon, in ritardo per l’avvio di ogni possibile tentativo di cura, con ormai ben poche speranze di sopravvivenza. Così, l’istituto non ha potuto far altro, circa un anno dopo, che somministrarle morfine per accompagnarla verso il decesso.
Nella notte del 13 gennaio il marito della malata terminale ricoverata a Roma, secondo l’accusa del PM, avrebbe avvicinato uno dei medici di guardia, supplicandolo affinché somministrasse un’iniezione letale alla donna. Lui avrebbe acconsentito, iniettandole cloruro di potassi, secondo quanto lui stesso scrisse nella cartella clinica della paziente. Immediatamente dopo la scoperta della vicenda, il dottore venne sollevato dal suo ruolo, mentre il PM avviò una larga indagine, fatta di decine di testimonianze raccolte nel corso di 4 anni, fino alla definizione dell’impianto accusatorio. Marito e medico di Roma sono accusati, oltre che di omicidio volontario, anche di essersi approfittati dell’incoscienza della donna, di abuso di potere e di omicidio ai danni di una paziente ospedaliera mediante sostanze “venefiche”.