A quasi trent’anni dall’imprevedibile rinascita del cinema, con Pulp Fiction (1994) e Il grande Lebowski (1998), “mamma” e “maestra” televisione gode ancora di ottima salute anche rispetto al “vecchio nonno” che sembrava sul punto di morire. Un computer portatile da venti pollici può tuttavia concorrere con entrambi i suoi avi e fare la differenza, nonostante pochi ci pensassero seriamente, specie durante la non troppo fortunata era (ormai quasi conclusa) dei dvd e delle memorie esterne: ma si è trattato appunto di una non lunghissima stagione, il cui tramonto lascia i richiudibili piccoli schermi domestici in balia delle piattaforme di streaming per guardare film e serie tv su internet.



Nell’imminenza dell’uscita, il 12 giugno, sulla piattaforma Netflix, di Da 5 Bloods – Come fratelli, il nuovo film di Spike Lee (La 25a ora, BlacKkKlansman) dedicato al contributo dei combattenti afroamericani Usa nella guerra del Vietnam, si possono vedere ad esempio, sempre su Netflix, lungometraggi di qualità come Roma e The Irishman. Pellicole che potrebbero tranquillamente rientrare in una top ten (o twenty) dei rispettivi generi ai quali appartengono (drammatico e gangster thriller): dunque, non solo buoni film, ma anche di cinema d’autore. Stiamo infatti parlando di registi del calibro di Alfonso Cuarón (già noto per Gravity del 2013) e di Martin Scorsese, che non ha bisogno di presentazione.



Roma di Cuarón (Oscar 2019 come miglior film straniero) racconta la vita della domestica Cleo presso una famiglia del quartiere Roma della Città del Messico “bene” degli anni Settanta: il finale del film “vale da solo il prezzo del biglietto”. Distribuito in sala per qualche tempo all’indomani dell’uscita, ora è tornato esclusiva Netflix, come The Irishman, l’ultima fatica di Scorsese.

Qui il regista siculo-statunitense fa recitare per la prima e (vista l’età) forse anche per l’ultima volta le sue due grandi fortune (Joe Pesci e Robert De Niro) insieme a quella di Ford Coppola, Al Pacino. Grande storia cinematografica italo-americana, nella quale non deve essere stato affatto facile, per Scorsese, saltare senza cadute, prima di The Irishman, dal noir (Taxi Driver), al musical (New York New York), al gangaster (Quei bravi ragazzi), al fantasy (Hugo Cabret) e al dramma storico/religioso (Silence): dedicato ai missionari cristiani martiri nel Giappone del XVII secolo, Silence voleva essere l’ultimo canto a quella possibilità del “nonostante tutto si può restare uomini” già al centro dei suoi film precedenti. E ancora al centro anche di The Irishman.



Nel quale è molto implicata la politica Usa degli anni Sessanta: Kennedy e la questione di Cuba in primis. Ma quello che, a una visione superficiale, potrebbe sembrare la copia di Quei bravi ragazzi (solo con i “ragazzi” De Niro e Joe Pesci invecchiati di trent’anni), nasconde in realtà una riflessione sulla libertà umana di fronte al male: può esserci possibilità di redenzione per un irlandese di Filadelfia (Robert De Niro) che usa la pistola al soldo della malavita targata “mangia spaghetti”? E, come per Roma, anche per The Irishman, fanno fede le sequenze finali.