Ammettiamolo pure: quello di un fisco finalmente a misura di famiglia è un tema scomodo per qualunque politico, che sia amministratore locale o nazionale, soprattutto in un tempo difficile come questo, quando far quadrare i bilanci non è impresa da poco. Ma – occorre dirlo subito – non è richiesta di privilegio, non si tratta di una elargizione di favore e neppure di un nascosto confessionalismo. E, men che meno, si tratta di una sorta di tassa sul celibato. Piuttosto è una necessità assoluta di un Paese che vuole ritrovare speranze e progetto sul futuro.
«Nessuno dica che chiediamo assistenza – ha spiegato Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari alla recente Conferenza di Milano –. Vogliamo invece che venga restituita giustizia alle famiglie con figli, cioè al futuro del nostro Paese».
Ecco perché la sperimentazione che partirà nelle prossime settimane a Roma, per iniziativa del sindaco Alemanno e approvata qualche settimana fa all’unanimità dal Consiglio comunale, va certamente presa come un primo segnale incoraggiante, anche se ancora molto timido. L’hanno chiamato “quoziente Roma” ed è in sostanza una rimodulazione delle tariffe di asili nido e trasporto scolastico, scuole serali comunali, tariffe di raccolta dei rifiuti e altri servizi. Le famiglie con più figli o anziani a carico pagheranno meno. Si terrà cioè conto del reddito e della composizione della famiglia. In particolare “quoziente Roma” avrà attenzione ai figli a carico con meno di 24 anni, agli anziani con più di 65, agli invalidi, ai minori disabili.
Ma attenzione: non si partirà da subito con tutti i servizi, ma si passerà nelle prossime settimane a una sperimentazione su una sola tariffa.
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Ogni anno verrà aggiunto un nuovo servizio. E il quoziente familiare sarà applicato non solo alle famiglie di coppie sposate, ma anche a quelle di coppie non sposate ma facenti parte dello stesso nucleo, come da stato anagrafico di famiglia, come ad esempio madre e figlio o una coppia che ha deciso di convivere.
«Un risultato storico», lo ha definito il consigliere comunale dell’Udc Alessandro Onorato, che ha presentato la delibera. Ma anche il sindaco Alemanno ha usato toni solenni: «È un progetto che mette al centro degli interessi delle politiche per Roma Capitale, in maniera concreta, la tutela della famiglia, che afferma il principio del sostegno vero e non retorico alle famiglie». Persino l’opposizione si è dichiarata soddisfatta: «La delibera – ha infatti rimarcato il consigliere capitolino Giulio Pelonzi, dopo la lunga battaglia condotta dal Pd – è indirizzata anche a quelle famiglie che, anche se non sposate, costituiscono un nucleo familiare con figli secondo le classificazioni Isee».
Tutti d’accordo dunque. Ma è davvero così? Chi ha provato a fare qualche calcolo, azzardando una previsione, che andrà poi limata dopo i lavori della commissione incaricata di applicare la delibera, ha ipotizzato risparmi che vanno nell’ordine di un paio di decine di euro o poco più. Piccole gratifiche destinate a non incidere sulla vita quotidiana. Bonus, qualche piccolo sconto e pochissimo altro, tutto destinato peraltro a cozzare rapidamente sulla esangui casse comunali.
In Francia, tanto per fare un esempio, una famiglia monoreddito con tre figli e un imponibile di 35.000 euro l’anno è esente da tassazione, oltre a godere di quei diritti estesi a tutta la popolazione, che prevedono assegni familiari fin dalla gravidanza, bonus per il baby sitting, nidi, permessi dal lavoro retribuiti.
E allora? Ci vorrebbe più coraggio. E forse anche più inventiva. Perché è certamente vero che i soldi sono pochi, ma è altrettanto certo che possono essere spesi prendendo strade più innovative.
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È stato lo stesso sindaco Alemanno, ad esempio, a dire che a Roma non si faranno più asili nido comunali, ma si daranno vita ad asili convenzionati, «perché costano la metà di quelli comunali: per uno convenzionato si spendono settemila euro l’anno a bimbo, contro i tredicimila di uno comunale». Quella di puntare su collaborazioni con il privato sociale è certamente una strada più coraggiosa e anche più economicamente redditizia per le casse comunali. Avviare questo cambiamento, nei diversi servizi erogati dal Comune, equivarrebbe a una rivoluzione per le famiglie e per tutta la città.
Del resto – non bisogna dimenticarlo – «nel nostro Paese sono i figli che rendono le famiglie povere», come è stato detto alla Conferenza nazionale sulla famiglia, tenuta a Milano tra l’8 e il 10 novembre. E rimane forte – e purtroppo prevedibilmente valida a lungo – la lapidaria affermazione di Pierpaolo Donati, direttore scientifico dell’osservatorio nazionale sulla famiglia.
L’urgenza di un cambio di passo deciso di fronte a politiche familiari del tutto insufficienti e inique è stata ancora più evidente quando, tabelle alla mano, Donati alla Conferenza di Milano ha evidenziato i tassi italiani di povertà familiare, i più elevati a livello europeo. La tanto invocata sussidiarietà nel nostro Paese funziona insomma alla rovescia. «Sono le famiglie a finanziare il debito pubblico e a sostenere il peso di uno Stato molto costoso e poco efficiente nei servizi, essendo diventate di fatto il più importante ammortizzatore sociale». Altrettanto secco Donati è stato nell’usare il termine Cenerentola per ricordare il posto dell’Italia rispetto alle spese per la famiglia (l’1,2 per cento del Pil, contro una media europea del 2,19) e la quota delle spese di prestazione sociale dedicata a famiglia e maternità, che con il 4,7 per cento ci fa guadagnare il ventiseiesimo posto in graduatoria su 27. Cifre che fanno impallidire.
Ecco perché innalzare oggi il vessillo del quoziente familiare vuol dire avere chiari gli obiettivi e forte la consapevolezza della loro importanza. A livello nazionale e forse, ancora di più, a livello di amministrazioni locali. Perché in un momento di crisi non si può dare tutto a tutti, bisogna sporcarsi le mani.