Il sottile confine tra comunicazione politica e culturale, tra informazione storica e ricaduta di quest’ultima sul presente, è lo sfondo che sta animando l’interessante dibattito sviluppatosi intorno ad “Avanti popolo!”, la mostra sui sett’antanni di storia del Partito comunista italiano allestita alla Casa dell’architettura di Roma.
Edoardo Novelli, docente di Comunicazione Politica e Opinione Pubblica alla terza università di Roma, prova a fare il punto della situazione sia tenendo presente sia il metodo che il contenuto della vicenda.
«Quel di cui stiamo parlando è una mostra che ricostruisce le vicende del Pci attraverso la riproposizione di materiale storico d’epoca e pannelli informativi. È evidente che la storia che racconta ha un suo certo peso sull’Italia, sia dal punto di vista politico che da quello sociale e culturale, perché il Partito comunista, comunque lo si consideri, è stato un protagonista della nostra identità».



Non corre il rischio di passare più come un evento mediatico che come una ricostruzione storica?

Nel ripercorrere una storia come questa la differenza è sottile. È una mostra che punta sui materiali contemporanei, audio-visivi, interattivi in generale. Ma usa un criterio scientifico rigorosissimo, anche perché i soggetti che l’hanno promossa sono tra i più titolati un questo campo di studi. Bisogna poi considerare che non è un convegno accademico, ma un evento che mira ad attrarre il grande pubblico.



I media ne hanno parlato calcando la mano principalmente sull’aspetto politico della vicenda. Non hanno veicolato un messaggio sbagliato?

A mio avviso non siamo in presenza di una distorsione mediatica. È semplicemente un tema caldo, e un dibattito su questo è ovvio che generi questo tipo di riflessioni. Anche i 150 anni d’Italia vengono letti oggi a seconda dei riflessi dell’attualità, figuriamoci un tema come questo. Lo si può limitare alle pagine di cultura, nelle quali il dibattito può ben limitarsi all’aspetto scientifico e contenutistico, ma se conquista spazi nella cronaca, è ovvio che si arrivi a parlare d’altro. In Italia, da un certo punto di vista, viviamo in un secolo lunghissimo, altro che secolo breve: il comunismo ancora oggi da alcuni è brandito come una clava, altri fanno ancora fatica a farci i conti.



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Si riferisce al Partito democratico?

Non è un caso che il suo segretario, Bersani, non fosse presente all’inaugurazione della mostra. Quello sull’eredità del Pci è un dibattito ancora aperto all’interno del Pd, perché hanno grandi difficoltà a fare i conti con quella parte della loro storia. Ma soprattutto ancora non hanno trovato una propria identità, e questo è il problema principale. Come si vede le ripercussioni sull’attualità sono tante e ovvie, lo si misura su quanto incide nel dibattito politico del presente.

Una classe politica che dunque fatica a paragonarsi con il suo passato.

Come già accennato per il Pd si tratta di un confronto bruciante. L’efficacia, l’organizzazione di allora rispetto alla confusione di oggi. In generale, poi, è un discorso che suscita nostalgie o avversioni. Se ci pensiamo il problema dell’identità italiana ha sempre avuto momenti di conflittualità. E lo vediamo ancora oggi. Negli anni ’60 si parlava di “democrazia bloccata”, un sistema che impediva il riconoscimento dell’avversario. E oggi è ancora così. Se vince l’avversario è una disgrazia, si finisce per scontrarsi non sui temi, ma sull’eticità e la legittimità dell’altro, e non c’è mai un riconoscimento della suo ruolo di avversario e non di nemico.

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È un problema di oggi, della classe dirigente del Paese?

Non parlerei tanto di questo. Si tratta si parte dell’identità italiana. Per certi versi anche l’unità del nostro Paese per alcuni è stata esportata, per altri imposta. O anche dopo il ’43 si sono determinate molte storie, diverse tra di loro, numerose in conflitto. Da questo punto di vista siamo uno dei Paesi più conflittuali in Europa.

La mostra allestita in questi giorni alla Casa dell’Architettura ha trovato un’importante eco a livello nazionale. A suo avviso, qual è invece la sua importanza specifica per la realtà cittadina di Roma?

Sicuramente perché ragiona su una parte di storia che gran parte dei suoi visitatori romani hanno visto o vissuto in prima persona. È un’ottima occasione per aprire un dibattito, una riflessione nella politica della città, un buon modo per far vedere che la politica è anche altro oltre lo scontro quotidiano. Il modo più interessante per offrire un’occasione di partecipazione e di condivisione di una parte della nostra storia.

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