Il rischio è che si sia fatto tanto rumore per nulla. Il decreto Calderoli sul federalismo fiscale nel breve periodo «non cambia praticamente nulla», mentre per il futuro rimangono forti «incertezze». Intanto si rimane in attesa della terza bozza Calderoli: quella definitiva, di cui discuterà il parlamento dalla settimana prossima. Lo spiega al Sussidiario Massimo Bordignon, professore di Scienza delle Finanze all’Università Cattolica di Milano e membro della commissione sulla spesa pubblica al Ministero del Tesoro. E sui fondi a Roma Capitale Bordignon commenta: «Il governo centrale ha tratto Roma particolarmente e “insolitamente” bene». Un trattamento che ha «giustificazioni più politiche che economiche».



Alcuni dati mostrano che la percentuale di tributi riscossi dalle amministrazioni periferiche in Italia è rimasta la stessa dal 2000 al 2009. È vero?

Il punto massimo di autonomia – nel senso di rapporto maggiore tra entrate proprie e trasferimenti – si è raggiunto nel 2008. Dopodiché Tremonti ha bloccato tutte le entrate locali, con un effetto di ricentralizzazione. Al momento Regioni e Comuni sono meno autonomi, per quanto riguarda il poter disporre di entrate proprie, di quanto non fossero dieci anni fa. L’addizionale Irap è stata bloccata, l’addizionale Irpef è stata bloccata, l’Ici sulla prima casa è stata abolita; eliminando tutti questi tributi propri, c’è meno spazio di manovra.



E con la riforma sul federalismo municipale cambia qualcosa?

Da un punto di vista sostanziale non cambia praticamente niente. I Comuni al posto dell’Ici avranno avranno una “Iciona” un po’ più grossa; il decreto non è stato ancora approvato, ma può darsi che si riaprano anche i giochi sull’addizionale. Bisogna poi stare attenti a come si interpretano i dati: se lo Stato dà ai Comuni una compartecipazione ad un tributo, può sembrare una entrata propria dei Comuni senza esserlo realmente. In questo decreto si attribuiscono ai Comuni una serie di tributi erariali sugli immobili, ma forse la cifra sarà uguale ai trasferimenti che ricevevano prima: quindi la percentuale di tributi riscossi in proprio aumenta, ma i soldi sono gli stessi.



I fondi per Roma Capitale: c’è una motivazione economica dietro questo provvedimento? Qualcuno ha parlato di un regalo ad Alemanno…

Roma ha ricevuto soldi in più rispetto agli altri Comuni sia nella redistribuzione dei trasferimenti dell’anno scorso, sia in quella di quest’anno per una cifra che si aggira intorno ai 500 milioni. Sono soldi attribuiti in finanziaria al Comune di Roma, perché la “città capitale” non esiste ancora; c’è un decreto in questo senso che sarà approvato solo alla fine (del percorso delle riforme sul federalismo).

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Perché sono stati dati questi soldi? Perché era un Comune fortemente indebitato. C’era una ragione economica o era più una ragione politica? Difficile dirlo; hanno giocato entrambe. Certo, il fatto che sia il governo sia il sindaco sono di centro-destra probabilmente ha avuto un ruolo. Il governo centrale ha tratto Roma particolarmente e “insolitamente” bene: ricordo soltanto che, al momento, la tassa di soggiorno c’è solo a Roma, mentre erano almeno dieci anni che tutti i Comuni la chiedevano. La volevano tutti i grandi Comuni turistici, da Firenze a Venezia, e per ora ce l’ha solo Roma. Questo trattamento favorevole ha forse giustificazioni più politiche che economiche.

 

Lei ha sostenuto che il decreto Calderoli guarda più all’oggi che al domani. Cambia la situazione dopo le modifiche richieste dall’Anci?

 

C’è una promessa da parte di Calderoli: che terrà conto delle richieste dei sindaci. Bisogna vedere quanto la manterrà: pare che “mollerà” sull’addizionale Irpef, ma per ora si tratta solo di anticipazioni. Comunque già nella seconda versione del decreto – quella di cui Calderoli ha discusso in settimana con l’Anci, a cui farà seguito la settimana prossima una terza versione – c’era un piccolo miglioramento: è stata introdotta una compartecipazione all’Irpef, che non c’era più, ed è stato spiegato un po’ meglio il funzionamento del fondo speciale di riequilibrio che poi dovrebbe convergere nel fondo perequativo.

 

Ma restano una serie di incertezze. Nel primo articolo della legge c’è scritto che una serie di tributi verranno attribuiti ai Comuni, ad esempio alcune imposte sul possesso e il trasferimento degli immobili. Al momento questo non cambia nulla, come dicevo, perché sono imposte che vanno a sostituire i vecchi trasferimenti. Ma in futuro cosa accadrà? Questi tributi diventeranno base imponibile su cui i Comuni possono programmare con uno sguardo al futuro, oppure no? I Comuni hanno chiesto chiarimenti, vediamo come risponderà Calderoli.

 

Qualcuno ha definito il decreto sul federalismo municipale «la rapina del secolo nei confronti del Mezzogiorno».

 

Mi pare poco sensato: nel primo anno non cambia assolutamente nulla, solo il modo in cui vengono finanziati i trasferimenti (prima fiscalità generale, ora tributi specifici). Negli anni successivi ci dovrebbe essere un nuovo sistema di calcolo dei fabbisogni basato sugli studi di settore, ma non dipende da questo decreto. In questi giorni, con un provvedimento firmato anche dal presidente dell’Anci Chiamparino, sono stati recapitati ai Comuni dei questionari, sulla cui base verranno fatte delle simulazioni su quanto ciascun Comune dovrebbe spendere per certi servizi. In teoria a un certo punto queste stime dovrebbero determinare il calcolo dei trasferimenti. Il Comune deve erogare alcuni servizi: A, B, C… Ci sarà un costo standard, che sarà più o meno la media di quello che spendono tutti i Comuni; in base a questo verranno erogati i soldi per fare A, B, C… Dov’è la rapina?

 

(Lorenzo Biondi)

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