Sembrava impossibile anche solo quattro anni fa, quando di colpo il caso irrisolto di Simonetta Cesaroni tornò in prima pagina. Sembrava impossibile che le indagini scientifiche dopo tanti anni avessero ancora un peso. Sembrava impossibile (com’era stato per lunghi anni) che un processo venisse finalmente celebrato. E invece da ieri pomeriggio il giallo di via Poma ha una prima soluzione, parziale ma certa.



In primo grado è stato condannato a 24 anni l’ex fidanzato di Simonetta, Raniero Busco. I reperti della scena del delitto conservati per anni e analizzati con le nuove tecniche hanno permesso di riaprire il caso. Grazie al lavoro dei Ris, si sono trovate le tracce del Dna di Busco sul corpetto della povera vittima. Una prova scientifica, oggettiva, quella del Dna, che segretamente comparata con il Dna di un alto numero di sospettati ha portato all’ex fidanzato.



Nessun sospetto pregiudiziale, dunque, verso un soggetto che nel corso delle prime indagini, vent’anni fa, era stato molto trascurato. Un soggetto il cui alibi, fornito sbrigativamente in un unico interrogatorio di Polizia nel 1990, non ha retto alle verifiche. Così i Pm hanno potuto lavorare su un’ipotesi che si è concretizzata in un processo (dove le prove, anche scientifiche, a carico di Busco sono aumentate) e da ieri in una sentenza di condanna.

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I commenti a caldo delle varie parti sono apparsi scontati, ma quello dei parenti della vittima ha pesato come un macigno: «Abbiamo sempre avuto fiducia nella giustizia e nel lavoro dei pubblici ministeri. Dal momento in cui ci sono state presentate le prove siamo state convinte della colpevolezza di Raniero Busco». Così Anna Di Giambattista, madre di Simonetta Cesaroni e Paola, la sorella, attraverso il loro legale (l’avvocato Federica Mondani). Mentre l’avvocato Massimo Lauro, sempre di parte civile, ha detto in aula: «Busco in tutti questi anni non si è mai fatto vivo con la famiglia e al funerale di Simonetta non si è neanche avvicinato per le condoglianze».



 

Ovviamente la nostra legge fissa l’innocenza dell’imputato fino al terzo grado di giudizio; ed è così anche per Raniero Busco, che dovrà ricorrere in appello e sperare in un’altra sentenza più favorevole. Ma c’è un’altra famiglia che resta nell’angoscia: è quella di Pietrino Vanacore, l’ex portiere dello stabile, che si è suicidato lo scorso marzo, alla vigilia dell’udienza in cui avrebbe dovuto deporre. Nella ricostruzione del Pm, Vanacore sarebbe intervenuto sulla scena del crimine, avvertendo la società titolare dell’ufficio e ripulendo l’appartamento, senza peraltro sospettare di Busco.

 

Andò proprio così? Probabilmente non lo sapremo mai e i giudici che hanno condannato il fidanzato di Simonetta non sono tenuti ad entrare nel merito della responsabilità penale di altre persone decedute. Ma per capire se esiste o meno una spiegazione per la morte di Vanacore dovremo aspettare le motivazioni di questa, comunque sconvolgente, sentenza.

 

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