Continua fino al 6 febbraio l’esposizione presso la Casa dell’Architettura dei settant’anni del Pci, percorso curato dalla Fondazione Istituto Gramsci ed il Centro Studi di Politica Economica, che si propone di raccontare l’esperienza del partito a partire dalla testimonianza di materiale proveniente dall’archivio del partito stesso, ma anche da archivi esterni, tra i quali Rai e Luce. L’intento è quello di rimanere fedeli all’oggettività storica, quindi, un approccio che Ugo Sposetti, tra i curatori ed ex tesoriere del Pci, descrive così: “La preoccupazione maggiore era di non fare una mostra di nostalgia: vivere la storia del ‘900 è una lezione di storia, e come tale va affrontata”.



La storia che si snoda circolarmente lungo le pareti della casa dell’architettura è strutturata in tre sezioni di due pannelli ciascuna, che corrispondono ai sei periodi cronologici in cui si è dipanata la storia del partito. Ad ogni periodo il testo scritto corrispondente è corredato da documenti originali e dalle loro corrispettive digitalizzazioni, nonché da immagini e video d’epoca. Simmetricamente, approfondimenti tematici alle singole esperienze dei settant’anni descritti, testimoniano la vitalità e la concretezza dei fatti narrati: i giovani, le donne in lotta, i partigiani, i manifesti, Berlinguer, gli artisti.
Verità  sulle quali aleggia il personaggio di Gramsci, i cui Quaderni del carcere, situati nel centro del salone, sembrano essere il cuore pulsante della mostra e dell’intera esperienza del Pci.



Scrittura minuta, fitta, ordinata, date, numerazione progressiva degli eventi: tutto mostra una sensibilità e un’attenzione particolari, che denotano l’accuratezza del progetto, il modo di sentire sulla pelle un ideale. “Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo, organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza, studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, così diceva lo stesso Gramsci ne L’ordine nuovo, n°1, anno 1919. Come non mettere in relazione queste parole  alle immagini di uomini e donne che dalle foto in bianco e nero e dai fotogrammi sgranati dei video esprimono un entusiasmo tipico di chi si sente piena parte di una storia e di un ideale? Riconoscersi in un’ appartenenza come quella che vivevano loro oggi rende immediato il senso di bisogno di trovare riferimenti concreti a domande che la realtà impone.



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Al piano superiore, si è voluta creare in due modi distinti la relazione con la contemporaneità , accomunati dall’esperienza della grafica. Da un lato, i lavori di 34 designer esordienti reinterpretano con una sensibilità particolare manifesti d’epoca, nell’ esposizione intitolata Progetti confronti incontri. Dall’altra, si fa largo la dimensione satirica, con le vignette di Staino e Altan: Bobo e Gibuti due comunisti di carta.

 

Dalla fondazione alla scissione, dalla Costituente alla guerra fredda, i fatti del passato entrano nella realtà contemporanea attraverso l’ esperienza percettiva che l’esposizione propone , che si discosta dai preconcetti e dagli stereotipi popolari, chiedendo al singolo spettatore un giudizio più consapevole. Come ci diceva Paolo Pombeni, «si fa sempre più fatica a guardare l’oggetto, che è sicuramente motivo di possibile incontro, dialogo e confronto, piuttosto che di scontro. Occorre che la discussione torni a incentrarsi sul piano dei contenuti. C’è un fatto storico, c’è qualcuno che lo racconta, in un modo che può essere più o meno accurato e storicamente corretto».

 

La sensazione che ci si porta dietro uscendo dalla Casa dell’Architettura è quella di commozione per il passato, per la forza con cui allora era possibile abbracciare una ideologia, riconoscere l’appartenenza ad una realtà, riconoscersi in un simbolo, stare sotto la stessa bandiera. Si può dire che l’intenzione dei curatori, inserire “il senso di questa storia nel contesto della storia d’Italia”, può ritenersi raggiunta, considerando la particolare urgenza che si avverte oggi di di giudicare il presente del nostro Paese.

 

(Caterina Gatti)

 

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