Roma. I carabinieri della stazione Villa Bonelli hanno denunciato a piede libero dieci persone con l’accusa di gioco d’azzardo dopo aver condotto un indagine conclusa in un circolo ricreativo di via del Trullo, zona periferica della capitale. Gli agenti hanno finto di essere normali clienti e si sono iscritti a uno dei tornei organizzati all’interno del locale: niente black jack, poker o roulette, ma la più popolare “zecchinetta”, antico gioco di carte diffuso in Italia dal sedicesimo secolo. Dopo poche mani, i carabinieri hanno identificato i giocatori, tutti romani tra i 40 e gli 80 anni, tra cui pensionati, disoccupati, un autista e i gestori del circolo, e hanno sequestrato mazzi di carte e circa 1.500 euro in contanti. A far partire l’indagine, è stata proprio la moglie di un pensionato che, esasperata dai continui ammanchi nei conti familiari, ha deciso di far arrestare il marito e gli altri avventori del circolo. Il gioco della “zecchinetta” è stato reso celebre da Leonardo Sciascia, nel romanzo “Il giorno della civetta”: uno dei protagonisti, Diego Marchica, è soprannominato proprio “zecchinetta” per la sua grande passione per il gioco. Chiamato anche “lanzichenecco” o “lasqueneet”, è un gioco d’azzardo popolare il cui nome deriva proprio dai lanzichenecchi che, nel XVI secolo, lo introdussero nel nostro Paese. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Mario Pollo, Professore di Pedagogia Generale e Sociale della Facoltà di Scienze della Formazione della Lumsa di Roma: «Il gioco d’azzardo compulsivo corrisponde ormai a un disordine classificato nei manuali di psichiatria ed è una delle dipendenze più gravi e diffuse, chiamata “gambling addiction”. Viene infatti ritenuta grave quanto la tossicodipendenza perché produce degli effetti nefasti sulle persone, che arrivano a giocarsi tutto quello che hanno e a distruggere la propria vita e quella della loro famiglia. Si tratta di un fenomeno da non sottovalutare, che ha un impatto sempre maggiore, ma le cui cause non sono sempre facili da individuare, perché poi ognuno ha una storia personale che è diversa da un’altra, quindi ci possono essere diversi motivi. Il problema è che spesso si può cominciare per una semplice curiosità, per provare un’emozione diversa, e ritrovarsi poi dipendenti, esattamente come avviene per le droghe». Nei casi di giocatori che si mettono al tavolo per problemi finanziari, il Professor Pollo ci spiega che «bisogna vedere se questo comportamento rimane “occasionale”, o se questo si trasforma nel tempo in una forma compulsiva. E’ la stessa situazione di una persona che consuma una droga occasionalmente, senza diventarne mai veramente dipendente, e chi, dopo aver cominciato così, si ritrova in un gorgo da cui non riesce più a uscire. Nelle sostanze è però rarissimo trovare i consumatori chiamati “drift”, cioè che riescono ad avere un consumo controllato che non li porta ad emarginarsi dalla vita sociale, perché dopo un certo periodo di tempo il “drift” o smette o diventa tossicodipendenza. Così anche nel gioco, e se viene fatto con una certa continuità ci sono grosse probabilità di finire nella dipendenza. Ho visto molte persone che cominciano nei bar o nei locali dove ci sono i videopoker, e ogni giorno che passa restano sempre più attaccati a quelle macchine spendendo quantità enormi di soldi».
Riguardo alla decisione della moglie del pensionato che, esasperata, è arrivata a far arrestare il marito, il Professor Pollo spiega che «la denuncia non è il modo migliore per far smettere questi giocatori, ma credo che avvenga perché probabilmente in molti ancora non conoscono altre vie. Oggi ci sono molti centri specializzati nel recupero delle persone che soffrono di questo tipo di dipendenza, ma ancora non sono diffuse in tutte le realtà del Paese. In molte aree italiane questi servizi esistono, sono facilmente accessibili e gratuiti, ma in altre parti sono praticamente assenti. Quindi molte persone non sanno che esiste la possibilità di curare questa dipendenza, e ricorrono quindi a mezzi “estremi”. In questo si può trovare un’altra similitudine con la droga, con quei genitori che, stanchi dei furti o di altri comportamenti dei figli tossicodipendenti, arrivano a denunciarli alle Forze dell’ordine. E’ il prodotto di un’esasperazione di una famiglia che vede realmente minacciata la propria stabilità e la propria possibilità stessa di sopravvivenza, ricorrendo quindi a questi tentativi di autodifesa». I giocatori non sono tutti uguali, e Mario Pollo ci spiega che «gli esperti che hanno studiato questo fenomeno distinguono normalmente tre tipi di giocatori: il giocatore “sociale”, cioè colui che gioca occasionalmente, per divertirsi con gli amici e senza che questo possa influire nella sua vita; poi c’è il giocatore professionale che, come lo sportivo professionista, ricava un reddito dal gioco senza esserne dipendente; e poi c’è il giocatore compulsivo patologico, che perde completamente il controllo senza riuscire a fermarsi prima di aver perso tutto, per cui il gioco è costrittivo e diventa il centro dell’esistenza. Le caratteristiche principali sono la voglia di giocare regolarmente, la prevalenza del gioco su tutti gli altri interessi, compresa la famiglia e il lavoro. Il giocatore ha poi una sorta di ottimismo che, nonostante le continue perdite, non viene comunque intaccato, e non si ferma mai quando guadagna e anzi tende ad aumentare la posta e a giocarsi ancora di più, che porta inevitabilmente a perdere tutto.
Mentre fa tutto questo, sperimenta un brivido, una scarica di eccitazione molto forte, che lo spinge a giocare ancora di più. Infine ci sono le fasi in cui passa un giocatore compulsivo: la “winning fase”, in cui il giocatore vince qualcosa e si illude che così potrà superare tutte le difficoltà economiche ed esistenziali preesistenti; poi c’è la “losing fase”, in cui il giocatore perde ma continua a puntare nel tentativo di rifarsi, per arrivare poi alla “desperation fase”, la fase di disperazione, caratterizzata da debiti, sofferenza, isolamento e disadattamento sociale: si tratta di un ciclo come quello della tossicodipendenza, che può rovinare tante famiglie. Queste, già nella seconda o terza fase, nel momento in cui vedono minacciata la propria situazione, decidono di denunciare il familiare. Ma il problema è che non c’è abbastanza informazione, perché tutti sanno che esistono comunità e centri per la tossicodipendenza, ma molti di meno sanno che esistono servizi anche per questo tipo di problema, e il gioco d’azzardo è ancora visto più come un vizio che come un vero e proprio problema sociale».
(Claudio Perlini)