«Fede e globalizzazione? La fede è un fatto: non possiamo fare come se non ci fosse. Anche in un mondo in cui le identità sembrano svanire». E poi c’è quella che Sebastiano Maffettone, filosofo del diritto e della politica, professore nella Luiss di Roma, definisce “l’importanza di diritto” della fede. «Il tardo capitalismo è socialmente materialistico e atomistico: la fede sposta gli interessi dalla semplice materialismo a un forte senso di comunità e di appartenenza. Ecco perché non possiamo farne a meno». Il professor Maffettone è stato relatore, ieri, alla tavola rotonda che si è tenuta proprio nell’aula magna della Luiss, organizzata dalla Tony Blair Faith Foundation e dalla Fondazione per la Sussidiarietà, che promuovono in Italia una serie di seminari sul tema “Fede e Globalizzazione, la sfida dell’educazione”. Ilsussidiario.net ha raggiunto il professore poco prima della conferenza.
Perché la fede è importante in un mondo globalizzato? «Risponderei in due modi. Innanzitutto, perché la fede è presente: c’è in tutto il mondo, è un fatto. Ha un significato politico e sociale. Orienta la vita delle persone. E poi, oltre l’importanza di fatto, che non è in discussione, c’è l’importanza di diritto. Il modello di civiltà industriale avanzato, il tardo capitalismo come lo chiama Jürgen Habermas, è socialmente materialistico e atomistico: rende enormemente difficile la comunione sociale. La religione favorisce i valori profondi dell’animo umano e in questo modo sposta gli interessi della persona dal materialismo a un forte senso di comunità e di appartenenza a ideali alti e significativi».
Prendiamo le due fedi oggi nel mondo più diffuse: il cristianesimo e l’islam, e cominciamo dalla prima. Con quale moderna concezione di Stato oggi essa si confronta? Con uno Stato che vuole prevaricare su di essa, per asservirla? «Ci sono molte forme di cristianesimo e molte forme di islam. Generalmente il cristianesimo, in maggior misura quello protestante, è più facilmente conciliabile con la liberaldemocrazia. Con l’islam invece la cosa è un po’ più complicata. Io non penso che si tratti di una impossibilità di principio; ciononostante, possiamo dire che ci sono delle difficoltà empiriche evidenti. Ma allora dobbiamo chiederci quanto c’entra l’islam e quanto invece le condizioni particolari del mondo arabo. Una su tutte, il petrolio: dove ci sono risorse naturali importanti è sempre più difficile avere democrazia, questo è un fatto statistico. In ogni caso, con tutte le attenuanti che possiamo trovare, mentre con cristianesimo la liberaldemocrazia è di casa, con l’islam così non è».
E la dove una fede come quella islamica tende non solo a ispirare i comportamenti, ma anche ad essere esclusiva nei confronti delle altre religioni, come avviene in molte parti del Medio oriente e dentro le società occidentali? «Innanzitutto, non dobbiamo estendere a tutto l’islam la sua interpretazione radicale. È sbagliato, sia nei confronti dell’islam, sia nei confronti delle persone che come noi non sono islamiche. Però in un società contemporanea il pluralismo deve essere la regola. Ciò vuol dire che chiunque impedisca il pluralismo, che è l’essenza della liberaldemocrazia, ha torto».
Ma le fedi sono ancora capaci di dare all’uomo i criteri per prendere le decisioni giuste? Ciò vale soprattutto per la religione cristiana, in una società sempre più secolarizzata. »Le fedi sono un aiuto. Le decisioni giuste occorre prenderle nel contesto, secondo la complessità che queste situazioni offrono. Penso che si possa sostenere con buona approssimazione che i paesi “misti”, cioè con più religioni non esclusive e con anche molte persone non religiose, pacificamente ammesse dalle prime come accade per esempio negli Stati Uniti, abbiano in media comportamenti sociali più accettabili».
E questo da cosa dipende? «Una persona sana, aperta al bene, ha bisogno non solo di solidità economica ma anche di garanzie profonde. Le fedi offrono proprio questo e in tal modo ci tengono più in equilibrio rispetto al nostro “hardware” e al nostro “software”».
La secolarizzazione, professore, è un nemico delle fedi o è un fatto positivo? «Tutt’e due le cose, direi. All’inizio è servita ad introdurre il pluralismo. Le fedi, Essendo credenze nel divino, tendevano ad ostacolarlo. Ma quando, col passare degli anni, la realtà cambia e ci si abitua all’idea che una fede non può essere una guida per tutti ma solo per alcuni, allora non c’è più bisogno di secolarizzare. C’è una doppia strada della liberaldemocrazia. Una è severamente secolarista, è antireligiosa e per questo oggi può risultare dannosa. L’altra invece non è secolarista, è aperta al trascendente ed è quella sulla quale dobbiamo puntare. Lo hanno capito entrambi: i liberali atei si sono accorti che la religione è utile, i credenti hanno capito che la liberaldemocrazia conviene. E quindi stanno insieme felicemente».