“La guerriglia a Roma è la conseguenza di un enorme e prolungato processo di diseducazione culturale, che non può che portare un giovane ad avere una visione distorta della realtà”. Salvatore Abbruzzese, docente di Sociologia all’Università di Trento, contattato da Ilsussidiario.net commenta così le violenze nel corso della manifestazione degli indignados nella Capitale. Il corteo, cui hanno partecipato diversi black bloc, ha portato a incendi, assalti e devastazioni anche nei confronti del ministero della Difesa e ad almeno 20 feriti. Ma l’aspetto più inquietante dell’analisi del sociologo è che “gli indignados che hanno messo a ferro e fuoco la Capitale non sono affatto diversi dalla maggioranza dei giovani italiani, ma sono soltanto quelli che hanno reagito sulla spinta del ‘bombardamento’ messo in atto dai media”.
Professor Abbruzzese, mentre parliamo a Roma si contano i feriti e le devastazioni …
Quanto avvenuto oggi pomeriggio è la conseguenza, l’atto finale di un enorme processo di diseducazione culturale. Due parti del Paese si sono totalmente perse di vista l’una dall’altra, e da un lato c’è un mondo che bene o male governa, dall’altra un’opposizione che sta alimentando da tempo una protesta veramente estrema. La strategia è quella di iniettare ogni giorno semi di vero odio, e dopo anni di questa terapia al vetriolo molte persone che si nutrono di quel tipo di informazione non possono che ricavarne un’immagine assolutamente lacerata della realtà. Per riuscire a comprendere le persone che hanno messo Roma a ferro e fuoco, basta andare a vedere l’informazione che alimenta i loro gesti violenti. Se un giovane si abitua a una visione assolutamente distorta ed enfatica della realtà, poi in perfetta buona fede finisce per convincersi che un intero mondo ce l’abbia con lui.
Ma che colpa hanno opposizione, giornali, maitre à penser se un manipolo di esagitati strumentalizza una manifestazione pacifica?
Il punto è che oggi in Italia è venuto a mancare quello che in passato, anche nei passaggi più bui della nostra storia, abbiamo sempre avuto: un linguaggio condiviso, un orizzonte di senso che faceva da tessuto comune per tutto il Paese. Tutto si è rapidamente dissolto, e ho sempre più la sensazione che queste persone vivano su un altro pianeta.
Intende dire i black bloc o la cultura che li alimenta?
Mi riferisco a chi legge la vita politica contemporanea in un certo modo. Per anni per esempio la nostra attuale classe dirigente è stata accusata di collusione con la mafia. In seguito si è venuti a scoprire che la trattativa Stato-mafia è stata in realtà condotta da un Presidente della Repubblica di centrosinistra e da un ministro di Grazia e Giustizia anche lui dello stesso schieramento. Dopo che a lungo un governo liberamente eletto era stato screditato nella maniera più radicale, sostenendo in ogni sede che sarebbe stato veramente al soldo della mafia. I 20enni che leggono queste affermazioni per mesi o anni, è inevitabile che finiscano per avere una visione lacerata della realtà.
Ma è un caso che le violenze siano esplose proprio oggi?
Di certo non ha giovato la scelta di giovedì dell’opposizione, che ha addirittura disertato il Parlamento scegliendo l’Aventino: in questo modo è stato evocato quanto compiuto durante il governo Mussolini dopo l’uccisione di Giacomo Matteotti. Il messaggio è chiaro: significa che questo governo è incostituzionale. Ed è abbastanza cinico pretendere di giocare la partita su questo piano, negando la legittimità a un governo liberamente eletto, senza abbozzare un minimo di analisi politica, di proposta economica e sociale. Siamo ridotti al discredito, senza se e senza ma, nei confronti delle nostre istituzioni, e questo rafforza ancora di più nelle loro convinzioni le persone con una visione totalmente distorta delle cose.
E questo porta a incendiare i ministeri, come è avvenuto oggi?
Sì, portando a una situazione di massa nella quale poi si introduce un nucleo di mille o duemila persone, drop out e borderline, che girano per l’Europa spostandosi da un Paese all’altro e facendo il gioco della guerriglia urbana. Si tratta di una minoranza rispetto al grosso dei manifestanti, che rappresenta il prodotto della nostra società avanzata. Un giorno fanno i no Tav, il giorno dopo gli indignados, ma il nocciolo duro è composti sempre dalle stesse persone.
Quali sono il background e i valori ideali degli indignados?
Sono gli stessi di tutte le altre persone. Il valore all’origine di queste proteste è sempre il desiderio di realizzazione profonda, di una vita piena: qualcosa di buono quindi. La tragedia consiste nel trasformare queste aspirazioni positive in vere e proprie armi da guerra, facendo credere ai giovani che esista un complotto internazionale, provocato da non so quale compagine misteriosa, che in qualche maniera sarebbe responsabile della loro mancata realizzazione. La realtà è molto più grave, in quanto non esiste un responsabile ma è un intero sistema economico che non funziona. Ed è quindi gravemente riduttivo rispondere con un assalto al bancomat. Non ci sono infatti sono le banche o le multinazionali, ma anche gli interessi corporativi: e questi ultimi possono essere quelli dei tassisti romani, dei pensionati a 58 anni o delle federazioni di professori.
Qual è invece l’estrazione economica degli indignados?
Gli indignados sono composti da due estremi che si toccano. Il primo è quella di chi entra in piazza con il biglietto di andata e di ritorno. Cioè di coloro che, qualunque cosa facciano, hanno una situazione familiare che consente loro di partecipare a queste manifestazioni come a una parentesi in una vita agiata. E poi ci sono le persone con il biglietto di sola andata: quelle cioè disperate, marginali e che stanno davvero male.
Quali sono le differenze tra gli indignados di Roma e quelli che hanno protestato a New York davanti a Wall Street?
Quelli americani hanno di fronte a loro uno Stato profondamente unitario. L’America è provvista di un formidabile tessuto connettivo che consente da una parte ai giovani di indignarsi, e dall’altra al Congresso di prendere atto della protesta, articolarla in proposte e alimentare così una spirale positiva. Il potere negli Usa, pur nella normale dialettica tra democratici e repubblicani, poggia le basi su un terreno politico profondamente unitario. In Italia tutto questo manca. Chi protesta quindi non ha di fronte a sé un’istituzione coesa, ma una realtà fortemente frastagliata, basata sulla guerra tra gruppi. E questo amplifica fortemente le possibili conseguenze nel nostro Paese di una protesta come quella degli indignados.
(Pietro Vernizzi)