La crisi come opportunità bussa anche alle porte del Parlamento. Era gremito, ieri sera, il Teatro Capranica a Roma, proprio mentre l’Aula del Senato, poco distante, dava il via libera al governo Monti con il consenso più alto che la storia della Repubblica ricordi, in uno dei momenti più difficili (la mente corre alla fine degli anni Settanta, alla minaccia del terrorismo, non a caso foriera di un’altra sia pur breve stagione di larghe intese).
A due passi da Montecitorio, che oggi darà il via libera definitivo al nuovo esecutivo, erano un migliaio ad ascoltare le riflessioni di Giorgio Israel, docente di Storia della Matematica alla Sapienza di Roma, Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera e Julián Carrón, presidente della fraternità di Comunione e Liberazione, all’incontro organizzato dal Centro internazionale di Cl, sul volantino “La crisi, sfida per un cambiamento”.
Carrón parla della positività della realtà, sempre. Cita la Genesi («“E Dio vide che era cosa buona” non era dunque un’affermazione ingenua»). Non è la realtà disperante, ma la mancanza di un punto di riferimento, di un motore di speranza e fiducia. Carrón fa l’esempio di un bambino che a Disneyland, nel bel mezzo del divertimento, perde di vista i genitori e si sente perduto. «Non è la realtà che è cambiata, ma tornerà a vederla così com’è solo quando ritroverà i suoi genitori».
E non si tratta nemmeno di “battezzare”, cioè di convertire la realtà, ma di accettarla positiva così com’è. Cita Hannah Arendt: «La crisi ci costringe a tornare alle domande e si trasforma in catastrofe solo se si resta fermi a giudizi preconcetti». E poi, Tommaso Moro, che scrive alla figlia prima della decapitazione: «Niente di quello che ci capiterà sarà per un male, ma per un bene maggiore». Nei momenti difficili bisogna imparare dai santi.
Israel parte da Dante («Fatti non foste per viver come bruti») e indica i suoi capisaldi nell’educazione, nella famiglia, nei valori e nel desiderio di migliorare se stessi. Fra i valori include il merito, ma respinge il concetto di meritocrazia, scherzando un po’ sulla presentazione che di lui aveva fatto Roberto Fontolan, nell’introdurlo come tecnico. «Non credo nel regno di soli super colti», chiara l’allusione al governo dei tecnici di cui si parla. Concetto in realtà respinto sempre ieri dallo stesso Monti, che ha negato l’idea di una presunta superiorità mettendosi a disposizione di una politica che ha rischiato di affogare nella rissa.
Tocca poi ad Antonio Polito affrontare il problema, citando l’esperienza dell’Intergruppo parlamentare per la Sussidiarietà. Perché di un “bipolarismo mite” c’è bisogno e per arrivarci forse era necessaria una fase come questa. Tira in ballo Maurizio Lupi, presente in sala con un folto gruppo di parlamentari, per dire che, se anche fosse andato in porto un piano organico per lo crescita, «non è una legge che porta lo sviluppo, ma la capacità di affronto dell’imprevedibilità dell’istante», cioè la presa di responsabilità di ciascuno di fronte al reale.
Ricorda il ruolo di Goldman Sachs che denota «una fragilità impressionante degli Stati». Cita anche Ronald Reagan, che nel parlare del debito pubblico lo paragona al tubo digerente di un neonato che ha molto appetito all’inizio e poca responsabilità alla fine.
E così oggi, che il governo col più alto consenso di tutti i tempi prende il largo alla Camera, scopriamo che la partita è solo all’inizio e ognuno è chiamato a giocarla con la propria responsabilità.