Roma. Pochi giorni fa gli studenti del liceo Visconti, in via del Collegio Romano, hanno occupato l’istituto. Una protesta che, come ha spiegato uno studente all’ingresso della scuola, «si inserisce nel quadro generale delle proteste studentesche. Questa mattina abbiamo chiesto di poterci riunire in assemblea straordinaria e abbiamo scelto di occupare». La dirigente scolastica, Clara Rech, ha naturalmente informato dell’accaduto il ministero dell’Istruzione e le forze dell’ordine, eppure gli studenti le hanno promesso, dopo aver consegnato oltre 500 firme di ragazzi favorevoli all’iniziativa, di terminare l’occupazione mercoledì prossimo alle 14 e di riconsegnare l’istituto senza alcun danno e addirittura pulito. «In qualità di dirigente, – ha commentato la preside sul sito dell’istituto – essendomi consultata anche con le forze dell’ordine, ho dichiarato che se i patti saranno rispettati non ci saranno ripercussioni ma che, qualora una sola di queste condizioni venga meno, saranno presi adeguati provvedimenti. Inutile dire che un tale comportamento sarà anche oggetto di valutazione ai fini del voto di comportamento e che il protrarsi dello stato di occupazione, e la conseguente sospensione della didattica, potrebbe esporre gli studenti alla non ammissione agli scrutini, visto il limite massimo di ore di assenza pari al 25% del monte ore annuo». IlSussidiario.net ha contattato Luciano Corradini, Professore emerito di Pedagogia generale presso l’Università Roma Tre di Roma.



Professore, gli studenti del Visconti hanno comunicato la volontà di occupare «come unica forma di protesta efficace». Cosa ne pensa?

Per capire se un’azione è efficace, bisogna sapere quali sono gli obiettivi da raggiungere. E posto che gli obiettivi siano validi, bisogna vedere se quell’azione è anche efficiente, cioè se il gioco vale la candela, se quello che si vuol fare è giusto, opportuno, proporzionato. Una fucilata è efficace per uccidere una mosca. Però non è efficiente. I due reati citati dalla preside del Visconti indubbiamente ci sono, anche se qualche uomo di legge potrebbe cavillare, notando che la scuola è  degli studenti, come mi sono sentito dire. Di fatto non è di proprietà degli studenti, ma è istituita e pagata con pubblico denaro, perché presidi e docenti possano svolgere al meglio il servizio pubblico dell’istruzione-educazione a vantaggio degli studenti, non perché ne facciano quello che vogliono. Un bene pubblico non si deve trattare come un bene privato: e la relazione educativa è da un lato un prezioso bene personale, anche se non privo di tensioni, dall’altro un bene pubblico, da rispettare, perché è di tutti. Un’occhiata allo Statuto delle studentesse e degli studenti, scritto al Ministero con la collaborazione degli studenti, potrebbe aiutare tutti a trovare vie equilibrate ed efficaci per superare positivamente i conflitti.



Alla scuola media Belli di via Col di Lana a protestare sono invece professori e genitori. Cosa pensa di queste proteste?

Le proteste sono legittime, a volte moralmente doverose, a volte irragionevoli. Si tratta di capire se il disagio è frutto di un capriccio, o di una negligenza, o di una necessità. Prendere coscienza della realtà e non rompere il dialogo mi sembrano beni preziosi da salvaguardare, anche nella protesta e nella proposta.

Alla dirigente scolastica del Visconti gli studenti hanno promesso di riconsegnare la scuola pulita e senza danni. Come sono cambiate le occupazioni nel corso del tempo?



Quando insegnavo in un istituto tecnico a Reggio Emilia, un giorno gli studenti si rifiutarono di entrare in classe, perché era caduto un cornicione. Si riunirono per trovare forme di protesta. Misi a disposizione 4 scope di casa mia perché potessero innalzare davanti alla Prefettura cartelli con su scritto: vogliamo diventare periti, non morti! Chi doveva rispondere era la Provincia, ma noi non lo sapevamo. Preciso che la manifestazione fu fatta il pomeriggio perché gli studenti la mattina andavano a scuola.

Quando nevicava, per consentire agli studenti di stare a scuola anche durante la pausa pranzo, alcuni insegnanti restavano a scuola, perché il Preside non si fidava a lasciare soli gli studenti e avrebbe chiuso la scuola.

Quando ero sottosegretario venne a incontrarmi una delegazione di studenti per protestare per l’occupazione del liceo Manara in corso da una settimana. Andai a visitarla. Era ridotta a cumuli di calcinacci e di immondizia. Telefonai al Questore perché si trovasse una maniera non violenta per risolvere la questione. Così fu. I danni furono pagati dal denaro pubblico. Concludo dicendo che, dal ’68 in poi le occupazioni, qua e là, sono diventate una sorta di esperienza forte di trasgressione, da fare per sentirsi grandi o per liberarsi dalla tutela dei docenti. I pretesti sono stati sempre i più diversi. Con i decreti delegati prima e con lo Statuto citato si è voluto trovare un modo pacifico e concordato per fare esperienze di cogestione, con modalità di lavoro e con tematiche diverse da quelle usuali. Talora si sono fatte cose molto interessanti; talora bivacchi e migrazioni da una classe all’altra o fuori della scuola.

Lei si sarebbe opposto a una richiesta “formale” di occupazione?

Sì mi sarei opposto, come mi opporrei ad un collega che mi prendesse con la violenza o con l’inganno un libro che potrei benissimo prestargli, in un dialogo civile.

Al giorno d’oggi, quali strumenti hanno i giovani per protestare ed esprimere il loro dissenso?
Proprio perché i giovani si trovano oggi in condizioni più gravi di quelle che si sono vissute da parte delle generazioni precedenti, occorre informarsi, discutere, riflettere, anche manifestare, senza violenza. Occorre un patto generazionale, in cui ci si aiuti a vicenda a conquistare un futuro vivibile.

Come dovrebbero essere gestiti questi episodi dalle istituzioni, dai dirigenti scolastici e dai professori?

Il tempo è prezioso e non va consumato. Docenti e studenti solo insieme sono scuola. A volte si può concordare che gli studenti lavorino da soli, ma con un programma concordato, di cui i docenti sono responsabili.  Le relazioni positive che si vivono a scuola, anche con creatività, sono valori che durano una vita. Peccato perdere tempo in ripicche e in battagli e inutili.

 

(Claudio Perlini)