Debutta oggi a Roma al teatro Manhattan lo spettacolo “Disoccupati credenti”, che vi resterà in scena fino al 6 novembre (nei giorni 3-4-5 novembre alle ore 21, e il 6 alle ore 18). Si tratta di una piece scritta da Enzo Jannacci – che ha curato anche la regia – insieme all’attore e musicista Osvaldo Ardenghi, che da tempo collabora con Jannacci. Nata su idea di Ardenghi nel 1994 con la collaborazione di Jannacci, è stata adesso aggiornata dai due con diversi riferimenti al contesto attuale e dopo essere stata presentata in passato in diverse scuole, arriva per la prima volta nella Capitale. Si tratta di un testo comico sul coraggio di essere se stessi, senza scorciatoie, che prende in giro la maleducazione, il modo di evadere dal quotidiano tra alcol, pasticche e guida pericolosa e dove entra in scena anche il Nazareno.
Jannacci, nel corso di questa conversazione esclusiva con IlSussidiario.net, ci ha spiegato il senso e i retroscena dello spettacolo: per tutti gli appassionati dello straordinario autore di canzoni, interprete, attore e scrittore milanese una bella notizia, la possibilità cioè che questo spettacolo approdi anche nei teatri. In tempi poveri di grandi emozioni come quelli che stiamo vivendo, c’è bisogno di ritrovare un autore come lui. C’è bisogno infatti, come diceva lo stesso Jannacci parlando delle canzoni, di turbamento: “La canzone deve lasciar turbati”, disse una volta. E così un’opera teatrale. Qualunque cosa. Perché siamo fin troppo assuefatti alla banalità, al grande nulla o, peggio, alla paura. C’è bisogno di qualcosa che smuova il cuore. “Io sono un tipo pericoloso”, ci dirà nel corso di questa intervista. Perfetto, abbiamo bisogno di gente pericolosa.
Le buone notizie riguardo Enzo Jannacci non finiscono qui. Escono infatti per la prima volta rimasterizzati e digitalizzati appositamente su cd, diversi album che tornano così disponibili al grande pubblico. Si tratta di “Quelli che” uscito ben 36 anni fa, seguito da “O Vivere o Ridere” del 1976; “Secondo te… che gusto c’è” (1977); “Fotoricordo” (1979). Il 22 novembre poi tutti questi dischi saranno disponibili in un unico cofanetto. A curare l’operazione sono stati il figlio Paolo Jannacci e il responsabile dell’etichetta Ala bianca, Toni Verona. Ha commentato lo stesso Jannacci con il suo stile inimitabile: “’Dopo varie disperate ricerche ho ritrovato quattro album, che reputo essenziali, per la mia vita e soprattutto per la vostra e incredibilmente ho scoperto che sono miei”. Infine lo scorso ottobre è uscita anche la biografia, scritta dal figlio Paolo, “Aspettando al semaforo, l’unica biografia di Enzo Jannacci che racconti qualcosa di vero”.
Raggiungiamo Jannacci telefonicamente, la prima volta dopo i problemi di salute che ebbe la scorsa estate con il ricovero in ospedale. All’inizio un po’ insonnolito, si accende subito, come fanno tutte le persone entusiaste del proprio lavoro e della vita.
Come nasce questo spettacolo, Disoccupati credenti?
Osvaldo (Ardenghi) aveva bisogno di qualcosa, di materiale nuovo da presentare nei locali dove si esibisce. Gli ho detto che gli avrei dato una mano volentieri, mettiamo giù insieme un po’ di cose, gli ho detto. Addirittura ho scoperto solo qualche giorno fa che avrebbe presentato lo spettacolo in teatro. A Roma? gli ho detto. Stai attento che a Roma è dura. Non è che ti portano i fiori, bisogna essere bravi. Tu lo sei ma lì invece che i fiori ti portano le manette, direttamente sul palco.
Tu e Osvaldo Ardenghi lavorate insieme da un po’, vero?
Sì, l’ho visto recitare in qualche teatro di provincia e ho capito che era uno in gamba. E’ uno che ci sa fare, ha una presenza in scena molto accattivante. Lui e altri, sono ragazzi che ho deciso di aiutare perché sono molto capaci. Si vergognano un po’, ma questo è un mestiere che si fa bene solo se si ha un po’ di timore a mostrarsi su un palcoscenico. Li ho aiutati come è successo a me: se non era per Dario Fo che mi ha dato una mano a inizio carriera ero ancora qui a guardare chi passava per strada. E dove abitavo io, ti assicuro, non passava molta gente.
Spiegaci in cosa consiste Disoccupati credenti.
E’ uno spettacolo in due tempi. Nel primo tempo c’è uno innamorato della pressa, un lavoratore, un metallurgico, un tipo strano. E’ innamorato della pressa perché è il lavoro che lui può fare con la mente ma soprattutto con le mani. Nella seconda parte invece c’è un tipo strano, che ha un’altra specie di amore, è innamorato dei capelli e dei poster, ed è il Nazareno. Occhiali di John Lennon, poncho, accenno di barba, occhi metà azzurri e metà no, capelli biondi, lunghi fino alle spalle. Uno che nel giro di poco tempo era meglio lasciarlo perdere perché poteva diventare pericoloso.
Ma il metallurgico è disoccupato?
Sì, ma è credente. All’inizio dice cose dove è evidente che sta perdendo la fiducia, proprio perché è disoccupato, ma credente. Lui crede nella pressa, vorrebbe andare avanti a lavorare con la pressa, ma glielo impediscono.
E il Nazareno?
Il Nazareno ha un lavoro, ma anche lui ha dei problemi di fiducia. Lo criticano ad esempio perché cammina sull’acqua e gli dicono: vabbè, camminerai anche sull’acqua ma prova ad andare a più di due all’ora…
Però è un credente.
Certo, crede alla sua visione della vita, al suo lavoro. Infatti anche il suo è un lavoro: tenere insieme tutto il mare di persone che hanno la fede. Non ho voluto chiamarlo Gesù apposta, ho preferito così, far uscire fuori da solo quello che lui è, quello che tiene in piedi la storia e la vita dietro ad ogni angolo.
Disoccupati credenti: di disoccupati oggi ce ne sono molti, di credenti sempre meno.
Non è una novità, è qualcosa che va avanti da parecchio tempo. Viviamo in un momento in cui la gente non sa più cosa vuol dire credere in qualche cosa. Però ci sono persone che credono, che hanno un motivo grande per cui spendere la vita. Questo testo è nato osservando persone conosciute e incontrate veramente, un mese fa, due mesi fa, tre anni fa, vent’anni fa. E c’è un rimando alla contemporaneità che si vive oggi: la contemporaneità della situazione dove si svolge l’azione, dove vorremmo si svolgesse. Osvaldo poi è molto bravo, ha una grande presenza sul palco e ha un ottimo uso della parola, ha un modo di porsi capace di bastonare le cose in cui crede per farle risaltare ancora di più.
Una volta hai detto: se si pratica soltanto la tragedia, nella scrittura, nel teatro o nel cinema, come nella canzonetta, si rischia sempre la retorica. Un pizzico di commedia, invece, elimina questo velo di retorica sempre incombente, riporta tutto alla sua giusta misura. E’ una cosa che diresti ancora, anche per questa opera?
Certamente. Basta guardare Osvaldo. La pura e semplice tragicità della vita non piace a nessuno. Neanche a me. Io agisco attraverso il modo di presentare le cose agli spettatori, inutile altrimenti fare l’autore. Fare lo stupido non funziona. Quel tocco di commedia in un testo, in una canzone, un’opera teatrale è fondamentale perché fa capire che non stiamo giocando con delle cose tanto per dire. Dobbiamo avere rispetto per le persone che siedono davanti al palco e ascoltano, guardano, bisogna aiutarle a capire, non metterle in difficoltà. Certo, si prendono dei rischi, ma Jannacci è fatto così e anche Ardenghi è fatto così. La gente pensa che io sia un tipo alla mano, uno che chiude un occhio. Non è vero: io sono un tipo pericoloso. Dico le cose facendovi sorridere, ma dico le cose aprendo tutti e due gli occhi: credo in quello che dico e sto a guardare quello che succede.
(Paolo Vites)