Roma. Secondo i dati diffusi a settembre in occasione della presentazione delle iniziative a sostegno dei senza fissa dimora, promosse dall’Azienda ospedaliera San Camillo-Forlanini e da Commercity, in collaborazione con la Rete della Solidarietà e con la Comunità di Sant’Egidio, risulta che nella capitale vivono circa 6 mila senza fissa dimora: di questi, mille vengono accolti dai centri di accoglienza notturni del Comune di Roma e delle associazioni di volontariato, mentre altri mille trovano rifugio in alloggi di fortuna. Secondo gli stessi dati, a Milano ne vivono circa 5 mila, a Torino 2 mila e poco meno a Napoli, Firenze e Bologna. Si tratta di una popolazione sempre più giovane, formata per il 60% da stranieri, la maggior parte proveniente dai paesi dell’Est, dall’Afghanistan e rifugiati, mentre il restante 40% è composto da italiani.  ILSussidiario.net ha chiesto un commento a Giancarlo Rovati, Professore di Sociologia generale dell’Università Cattolica di Milano: Le stime quantitative dicono che Roma ha il numero più alto di senza fissa dimora rispetto a tutte le altre città italiane, mentre per quanto riguarda la composizione segnala che il 60% è formato da stranieri e il restante 40% da italiani. La domanda che dovremmo porci è la seguente: è un dato nuovo o è costante nel tempo? La mia prima osservazione è che in questa notizia non c’è nulla di nuovo, perché una ricerca effettuata nel 2000 dall’allora Commissione di indagine sull’esclusione sociale, insieme alla Caritas e alla Fondazione Zancan, dava un quadro esattamente identico. Credo che sia in corso una rilevazione da parte dell’Istat, in accordo sempre con Caritas, per effettuare un’indagine aggiornata sulle persone in situazione di grave emarginazione, ma questi dati non credo siano ancora aggiornati. Una cosa che mi ha colpito in particolare è la proporzione tra senza fissa dimora assistiti e il numero assoluto: a Roma, su 6.000 totali, solo mille trovano forme di assistenza presso le strutture caritative, mentre altri mille vivono in città in alloggi di fortuna. E’ quindi importante chiederci: dove vivono gli altri 4 mila? Chi si occupa di loro? Sarebbe pensabile e auspicabile che qualche struttura aggiuntiva rispetto a quelle che già se ne occupano, affrontasse questo problema. La povertà rimane stazionaria o addirittura aumenta anche perché non ci sono misure di contrasto, e questo segnala una latitanza non tanto del terzo settore, che è l’unica realtà che si occupa degli individui in grave emarginazione, ma del settore pubblico. Fino a quando dovremo aspettare?



E’ necessario poi sottolineare che in una città come Milano, dove i senza fissa dimora sono stimati in circa 5 mila, soprattutto con l’inizio della stagione fredda nasce un’iniziativa chiamata “Emergenza freddo”, per dare una maggiore attenzione a quelle persone che con le intemperie e il clima sempre più rigido possono addirittura trovarsi in grave pericolo di vita. Da questo punto di vista esistono quindi iniziative concordate tra il settore pubblico dei servizi sociali e le strutture caritative per diventare un punto di riferimento per queste persone, in modo passivo, rendendo noto dove sono reperibili gli aiuti, o anche attivo, con le cosiddette “ronde della carità”, che consistono in gruppi di persone che perlustrano la città e i luoghi dove più notoriamente si addensano le persone in grave emarginazione, prestando loro soccorso». Riguardo la sempre più giovane età dei senza fissa dimora, il professor Rovati ci spiega che «questo dipende anche da una serie di stereotipi che abbiamo alimentato nel tempo, che dipingevano il senza fissa dimora come un anziano abbandonato da tutti, che come unica possibilità aveva quella di ricorrere al dormitorio pubblico. In realtà questo dato sulla giovane età dei senza fissa dimora non è nuovo: agli inizi degli anni Novanta ho svolto una ricerca sugli ospiti del dormitorio pubblico di Milano, e l’età media era tra i 30 e i 40 anni, e non dai 60 in su. Molti dei senza fissa dimora hanno problemi relazionali, psichici o di alcolismo, e questo ha colpito nel tempo persone di età relativamente bassa. C’è poi una parte di senza fissa dimora formata da immigrati che nel loro primo approdo figurano come senza fissa dimora, e che poi a poco a poco si inseriscono nella società, in modo anche produttivo. Bisogna quindi distinguere tra i senza fissa dimora “cronici” e quelli temporanei, ed è un dato importante da considerare. Forse, in quei 4 mila dei 6 mila totali di Roma, di cui non si sa molto, una quota è rappresentata da senza fissi dimora saltuari, ma resta il fatto che è necessario fare sempre più ricerche su questi fenomeni di quanto se ne stiano facendo oggi».



 

(Claudio Perlini)

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