Roma. Dal gennaio 2012 il costo del Bit, biglietto integrato a tempo, potrebbe passare da un euro a un euro e mezzo per i mezzi pubblici in servizio nella capitale, quindi autobus, metro e tram. Una misura, già discussa la scorsa estate, che ormai appare inevitabile a fronte della necessità di Atac di coprire i propri buchi nel bilancio, soprattutto dopo l’annuncio della Regione Lazio di non girare più fondi alla società di trasporti, insieme al taglio di 39 milioni di trasferimenti per le ferrovie concesse e di 40 milioni per i trasporti cittadini. Anche il sindaco Gianni Alemanno ha fatto sapere che questa revisione tariffaria è una delle varie soluzioni contenute nel piano industriale Atac «al quale stiamo lavorando» e che è necessario «trovare un accordo con i sindacati e con la Regione per poter realizzare i vari interventi sempre tutelando le fasce deboli. Quando sarà pronto il piano industriale potremo dare delle indicazioni più chiare». Eppure dall’Atac, che grazie all’aumento del biglietto prevede di incassare 35 milioni di euro all’anno, calcolano che il sistema potrà reggere solo se verrà diminuito il numero degli esentati: oggi infatti coloro che rientrano nelle categorie che non pagano nel Lazio sono 170 mila, a fronte di 99 mila abbonati. La governatrice del Lazio, Renata Polverini, ha dichiarato che «l’aumento del biglietto non è un tabù. Già altre città importanti, al di la dei mancati trasferimenti del governo, lo hanno fatto. Però non bisogna penalizzare i pendolari e le persone che appartengono a fasce deboli e usano i mezzi pubblici per lavoro o per studio. Ci sono altre categorie che possono dare un contributo. La questione delle tariffe è una competenza regionale. Nei prossimi giorni ci sarà un confronto politico che seguirà quelli tecnici che si stanno già tenendo tra i rispettivi assessorati». Inoltre, l’uscita di Atac dal Consorzio Metrebus, che la lega a Cotral e Trenitalia, porterà l’azienda a «sospendere o limitare l’esercizio sulla Roma-Lido, sulla Roma-Viterbo e sulla Termini-Giardinetti», portando nuovi interminabili disagi ai pendolari. Nei giorni scorsi una cinquantina di precari, tra cui attivisti e studenti, hanno bloccato il transito all’interno del deposito Atac in via di Portonaccio, per poi avviarsi in corteo sui marciapiedi della stessa via. Luca Fagiano, del coordinamento di lotta per la casa, ha spiegato che «non è possibile accettare né l’aumento del biglietto a 1 euro e mezzo, né ulteriori disagi per i pendolari e per i lavoratori del settore. Non ci interessano le diatribe politiche tra Polverini e Alemanno, è il loro Governo che sta tagliando i diritti di tutti per salvaguardare quelli di pochi. Il corteo spontaneo di oggi è solo la prima delle nostre mobilitazioni. Lunedì prossimo saremo in Campidoglio, vogliamo manifestare nella piazza di tutti senza limitazioni». IlSussidiario.net ha chiesto un parere a Andrea Giuricin, ricercatore del CRIET (Centro di Ricerca Interuniversitario sull’Economia del Territorio) presso l’Università Bicocca di Milano: «Certamente Atac, come tutte le aziende di trasporto pubblico in Italia, si trova in una situazione tragica perché dipende dai trasferimenti che arrivano dalla Regione o dal Comune, in base al tipo di trasporto. In Italia, in media, poco più del 30% dei costi dell’azienda è coperto dagli introiti dei biglietti, al contrario di altri paesi dove si è arrivati anche all’85%, come in Gran Bretagna. La situazione deve quindi cambiare, e l’aumento del prezzo dei biglietti è una di quelle misure che devono essere prese, per quanto impopolare possa apparire.
Bisogna anche tenere conto che in città europee meno importanti come Porto o Lisbona il prezzo del biglietto singolo è già superiore a un euro e mezzo, ma il problema è che oltre ad aumentare il prezzo del biglietto, bisogna inevitabilmente ridurre i costi: il problema delle aziende di trasporto italiane è che hanno dei costi troppo elevati, che corrisponde a circa il doppio rispetto a quelli di tante altre città europee. Come ridurre i costi di produzione? Semplicemente introducendo un po’ di sana concorrenza e fare delle gare vere per assegnare il trasporto pubblico locale, magari dividendo le grandi città anche in più aree da assegnare tramite gara a più aziende, che risulterebbero certamente più efficienti». Secondo Giuricin, le linee Roma-Lido, Roma-Viterbo e Termini-Giardinetti sono «fonte di perdita per Atac, che quindi vuole disfarsene per evitare di perdere ancora di più. Il problema di Atac è che senza contributi pubblici sarebbe già fallita da una decina di anni, come gran parte delle aziende del trasporto pubblico italiane. In realtà un’azienda pubblica senza trasferimenti più produce e più perde, e questo paradosso è tutto italiano. Per capire i reali disagi che dovranno affrontare i pendolari, bisogna vedere come verrà attuato questo aumento di prezzo, perché se dovesse essere attuato solo sul biglietto singolo i pendolari non verrebbero poi così danneggiati, ma ancora non sappiamo se gli abbonamenti subiranno delle variazioni di prezzo». Andrea Giuricin commenta anche la probabile scomparsa del biglietto unico integrato: «Non è certamente una grande idea, perché il biglietto unico è molto utile e comodo, ma è necessario attendere perché la decisione non è stata ancora presa, e su questo tema è possibile un intervento della Regione. E’ un processo lungo e dalla conclusione difficilmente immaginabile, però la logica resta comunque quella di dover ridurre i costi, una sfida essenziale per Atac». Riguardo alle proteste dei lavoratori Atac degli ultimi giorni, Giuricin ammette che «quando si è abituati a certe condizioni contrattuali, poi è difficile tornare indietro, però voglio ricordare che in situazioni molto più difficili, come in Spagna o in Grecia, hanno deciso di ridurre del 5%, ma anche fino al 25%, i salari dei dipendenti pubblici, quindi in situazioni critiche, essendo questi servizi pagati dai contribuenti, le misure devono inevitabilmente essere molto forti».
(Claudio Perlini)