L’articolo 23 della manovra varata dal governo Monti parla chiaro: le Province, come ha detto il presidente del Consiglio, «vengono riportate alla funzione di organi di indirizzo e coordinamento»: vengono quindi abolite le giunte, ridotti i consiglieri provinciali (da 45 a un massimo di 10) e ridotte in maniera drastica le spese «in funzioni già svolte da altri enti territoriali». «Bisogna superare le Province», ha detto Monti, ma «resteranno finché non sarà cambiata la Costituzione», perché entro l’aprile del 2012 le Regioni dovranno legiferare sul trasferimento del personale e delle competenze, e in caso contrario subentrerà lo Stato.



Dura la risposta della governatrice Renata Polverini: «Non so come finirà, ma penso che tanti rappresentanti eletti dal popolo non possano essere cancellati per decreto», quindi a breve incontrerà i cinque presidenti delle Province laziali: «Ho sempre creduto nel loro ruolo – ha spiegato la Polverini – Senza le province tante cose, come il patto regionalizzato, non avrei potuto farle. Dobbiamo fare chiarezza quando parliamo ai cittadini: ci sono i costi della politica e quelli della democrazia, a cui non si può rinunciare».



Infuriato anche il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti, secondo cui «hanno prevalso la demagogia e l’antipolitica, da dare in pasto all’opinione pubblica per distrarre l’attenzione da ben altri provvedimenti. Le province sono quelle che più si sono impegnate per ridurre la spesa pubblica e lo hanno fatto in silenzio, e chi oggi le guida lo fa perché è stato votato da milioni di italiani. Quel che frena l’Italia, e che costa, sono semmai gli enti di secondo livello nominati dalla politica, spesso dalla cattiva politica, che nessuno vuol mai toccare: consorzi, autorità, università agrarie». Zingaretti propone quindi che «vengano assorbiti nelle competenze degli organi eletti dal popolo».



Di tutt’altro avviso il sindaco di Roma Capitale Gianni Alemanno: «Rispetto alle misure prese condivido quelle sulle Province. Non voglio fare retorica demagogica, però é dal 1970 che si parla di abolirle», ha detto il primo cittadino, che però vuole chiarire che «questa legge non abolisce le Province, ma le trasforma in un ente di secondo grado. È una riforma giusta che va applicata rapidamente senza troppe storie».  

IlSussidiario.net ha contattato Giuseppe Castiglione, presidente dell’Unione province italiane (Upi), che nei giorni scorsi ha definito l’azzeramento delle giunte “anticostituzionale”: «Domenica scorsa abbiamo partecipato al tavolo con il Presidente del Consiglio e abbiamo offerto ancora una volta la totale disponibilità e collaborazione da parte delle Province. Avevamo chiesto a Monti di non inserire norme di carattere ordinamentale in un provvedimento di natura economica, partendo dalla considerazione che con il precedente governo era stata varata una commissione paritetica tra Comuni, Province e Regioni per cercare di dare al Paese un asseto più organico, stabile ed efficiente, e per intervenire sugli enti inutili. Parlo di quegli enti che oggi costano due miliardi e mezzo di euro solo di consiglieri d’amministrazione e sette miliardi di euro di spese, le cui funzioni potrebbero essere assorbite o assolte da Province e Comuni. Quindi, se si vuole radicalmente intervenire,  è necessario incidere su quegli enti che non hanno né legittimazione popolare, né controllo democratico».

«Le Province – continua Castiglione – hanno presentato un paio di giorni fa uno studio effettuato dall’Università Bocconi in cui è dimostrato che trasferendo le funzioni delle  Province alle Regioni o ai Comuni andremmo incontro a un aggravio dei costi, e non un alleggerimento, perché il risparmio sarebbe di appena 30 milioni di euro. Riguardo poi al tema dell’amministrazione centrale dello Stato, il ministro dell’Interno Cancellieri ha detto che è necessario rafforzare le Prefetture: sinceramente non capiamo la coerenza nelle scelte di un governo che da un lato vuole chiudere le  Province, e dall’altro vuole rafforzare le Prefetture. Un altro tema da affrontare è sicuramente quello dei costi della politica, in cui vogliamo intervenire in maniera seria e concreta. Le Province avevano già sopportato il primo taglio della manovra di agosto, e oggi viene invece prospettato un ente di secondo grado che non avrebbe legittimazione popolare e democratica, un ente di coordinamento e indirizzo, che ritengo inutile, perché si tratterebbe di un ulteriore carrozzone, a cui noi non vogliamo assolutamente prendere parte. Riteniamo che la provincia sia una funzione essenziale, importante, la dimensione ottimale per quanto riguarda la Protezione civile, la formazione professionale, la politica del lavoro, di mobilità e di sviluppo economico. Non vogliamo fare le cose che fanno i Comuni, né tantomeno vogliamo la legislazione della Regione: vogliamo rappresentare quel luogo fisico, quell’area idonea per promuovere anche la crescita di una politica di sviluppo. Questa è la nostra missione e vogliamo continuare a portarla avanti: in caso contrario, il governo si assuma la responsabilità di chiudere questa pagina di storia, dopo 150 anni».

Il presidente Castiglione è un fiume in piena, e continua a spiegarci che con questa azione, «il governo non vuole realisticamente affrontare il tema della riduzione dei costi della politica: noi rappresentiamo l’1,4% della spesa complessiva, quindi è chiaro che è assolutamente ridicolo pensare che con l’abolizione di un nucleo di consiglieri provinciali possiamo risanare il problema del nostro Paese. Mi sembra che si stia sacrificando la democrazia, e siccome ci rendiamo conto del problema di natura economica, ritengo che sia molto più onorevole parlare di riduzione dei costi della politica piuttosto che degli spazi democratici. Vogliamo assolutamente difendere ciò che i cittadini possono eleggere, e il nostro obiettivo è ridurre in maniera significativa tutto ciò che è il sottobosco della politica».

Quindi, in conclusione, Giuseppe Castiglione chiede che «possa non esserci una violazione costituzionale, cioè uno scioglimento e una decadenza anticipata degli organi eletti democraticamente. Chiediamo poi che si affronti il tema di un assetto organico della nostra istituzione, quindi che si lavori sia in commissione paritetica per dare un assetto più funzionale, sia in commissione al Senato per definire le funzioni di ogni singolo livello di governo e, soprattutto, per mettere in campo un’importante iniziativa sui costi della politica. Spero davvero che possa prevalere il buon senso e la voglia di fare una azione seria: se queste persone sono davvero dei “tecnici”, si accorgeranno presto che questa idea è un errore».

 

(Claudio Perlini)

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