La tragedia dei quattro bambini morti nel rogo della loro baracca ha riacceso i riflettori sulla questione dei rom. L’enfasi del momento può mettere pressione sulla politica e spingere ad un cambiamento, ma non bisogna lasciarsi prendere la mano dalla logica dell’emergenza: l’obiettivo deve rimanere «fornire gli strumenti – tramite l’educazione e l’inserimento professionale – ai giovani rom per diventare protagonisti del loro presente e del loro futuro». Lo spiega a ilsussidiario.net Paolo Ciani, responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i rom e i sinti. Che racconta di guardare alla richiesta di poteri speciali da parte del sindaco Alemanno con un misto di «preoccupazione e interesse»: «Potrebbe essere la grande occasione per avviare progetti che vadano oltre l’emergenza, nel medio e lungo periodo».
Non è la prima volta che si verifica una tragedia come questa, ma in passato l’attenzione è sempre scemata nel giro di pochi giorni. Sarà lo stesso anche questa volta?
«È successo tante volte: in questi anni sono molti i bambini morti di freddo, o bruciati o in altre situazioni legate all’estrema povertà in cui vivevano. Ci auguriamo che questa volta non accada: c’è stata una grande commozione, un grande sdegno e anche alcuni segni molto importanti, come la presenza del presidente della Repubblica all’obitorio, dove ha incontrato i genitori dei bambini. Da una parte è stato un gesto importante dal punto di vista umano, dall’altro ha avuto una grande valenza dal punto di vista istituzionale: così si rende espilicito per tutti che queste persone sono cittadini come tutti gli altri. Così come la partecipazione del cardinal Vallini alla veglia di preghiera per i bambini. Ci sembra che questa ennesima tragedia non debba passare nell’indifferenza».
All’indomani della tragedia, è arrivata puntuale la polemica politica. È giusto l’appello a «evitare strumentalizzazioni», oppure bisogna insistere per un intervento deciso da parte della politica?
«La notte dell’incidente l’ho passata insieme alla famiglia. La prima cosa che ho detto la mattina dopo è stata di evitare polemiche sterili: di fronte a un dramma simile bisogna vergognarsi e provare un sentimento diverso da quello delle dinamiche politiche di ogni giorno. Deve tacere un certo modo di parlare della politica: proprio sui rom, sia da destra che da sinistra, da anni va avanti una vergognosa strumentalizzazione. Si utilizzano sempre come capri espiatori per situazioni irrisolte; ci si fanno campagne elettorali, manifesti con cui tappezzare la città, senza poi risolvere veramente la cosa.
«D’altra parte non si può pensare che, per non far polemica, si lasci passare una cosa simile. Non bisogna far polemica e non bisogna dir sciocchezze, ma dobbiamo fermarci a riflettere. Quest’estate ad agosto era morto il piccolo Mario, bruciato nella sua baracca; l’altro giorno sono morti questi quattro bambini nelle stesse circostanze. Com’è possibile che questo avvenga ancora?».
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A livello di senso comune c’è un forte pregiudizio nei confronti degli “zingari”. È l’ultimo razzismo degli italiani?
«Noi parliamo da qualche anno di “anti-gitanismo”. È un fenomeno europeo, non solo italiano, ed è un fenomeno molto serio: in Ungheria ci sono stati diversi omicidi a sfondo razziale contro i rom, così in Slovacchia e in tutto l’Est. L’Italia respira questo clima e negli ultimi anni è stato investito da questi stessi fenomeni. Da anni si predica antipatia, dispresso, se non aperto razzismo, ad ogni livello: dall’autobus alla scuola alle tribune politiche. E chiaro che ognuno di noi ha interiorizzato questi elementi».
D’altro canto – si dice – quella dei rom è una minoranza non “assimilabile” e quindi difficile da integrare…
«L’idea dell’“assimilazione” è uno dei retaggi culturali che ha portato al tentativo di sterminio dei rom da parte dei nazisti, durante la seconda guerra mondiale. È la presunta asocialità di questo gruppo, cioè la non integrabilità. C’è una differenza tra assimilazione e integrazione: se pensiamo che tutti debbano essere uguali a noi, avremo qualche difficoltà. Cosa diversa è che tutti rispettino delle leggi, dei codici di comportamento, i diritti umani… Su questo i rom devono vivere la realtà di tutti. Poi quando si parla di uniformarsi a qualcuno, il problema è sempre qual è l’esempio. Se uno sbarcasse oggi in Italia da Marte e seguisse i nostri dibattiti quotidiani, non so che idea si farebbe di noi. L’obiettivo è dare diritti e doveri a tutti, anche ai rom. Starà a loro poi decidere come vivere, chiaramente nel rispetto delle nostre leggi».
A livello europeo qualcosa si è iniziato a muovere, ad esempio nell’elaborazione di progetti di scolarizzazione che si adeguino alle esigenze dei bambini rom. E in Italia?
«L’Europa è il luogo più avanzato rispetto ai diritti dei rom. Ma c’è una specie di piramide all’inverso: più ci si avvicina alla politica locale e più la situazione peggiore. A livello europeo si parla di diritti, partecipazione, in alcuni casi addirittura “discriminazione positiva”. Più ti avvicini a dove c’è l’attrito sul terreno, più si perdono i buoni principi. L’Europa ha indicato le best practices sui punti di maggior discriminazione – come l’inserimento abitativo, la segregazione scolastica, lavorativa e sanitaria – indicando delle risposte. Ma la ricezione da parte degli enti locali è molto deficitaria.
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«Un esempio: noi abbiamo elaborato un programma di “Scolarizzazione di qualità”, che sta dando risultati molto buoni ed è stato indicato dal Consiglio d’Europa come una best practice. Ma dopo i primi due anni non troviamo più fondi: è una bella idea, funziona, ma nessuno ci vuole mettere i soldi. Escono fuori le contraddizioni fra i principi accettati ad un certo livello e il “terreno”».
E nel mondo dell’associazionismo e del volontariato qual è la situazione?
«La nostra presenza da molti anni a questa parte è fondata sul volontariato puro, come presenza cristiana. E poi c’è una fetta importante dell’associazionismo cattolico che, attraverso i progetti di scolarizzazione o quelli di inserimento al lavoro, ha dato un grande contributo. Con un grande limite, forse, che è la limitata emancipazione di questo popolo: bisogna dare gli strumenti – tramite l’educazione e l’inserimento professionale – ai giovani per diventare protagonisti del loro presente e del loro futuro. Il futuro loro e della loro comunità».
Non abbiamo parlato di piano nomadi…
«Abbiamo ascoltato con un misto di preoccupazione e interesse il discorso sull’emergenza, e quindi sui poteri speciali. Abbiamo avuto il timore di provvedimenti discrimintori, come la rilevazione indiscriminata delle impronte digitali, la scheda con etnia e religione… Ma ci sono anche grandi possibilità: potrebbe essere la grande occasione per avviare progetti che vadano oltre l’emergenza, nel medio e lungo periodo. Certo, se guardiamo agli sgomberi di Milano, ai bambini che rincorrono la scuola di sgombero in sgombero, alla tragedia di Roma, non possiamo che augurarci che poteri e finanziamenti vengano utilizzati meglio».
(Lorenzo Biondi)