Ieri pomeriggio la giunta comunale di Roma ha approvato la delibera che dà inizio al processo di “riqualificazione urbana” di Tor Bella Monaca, un programma che passa per la demolizione di una parte del quartiere. Il progetto – che potrebbe essere approvato dall’assemblea comunale entro la fine dell’anno – dovrebbe portare in sei anni alla ricostruzione di una nuova area residenziale al posto delle tre “torri” di via dell’Archeologia.



L’idea della demolizione è stata suggerita al sindaco Alemanno dallo stato di degrado e di emarginazione sociale di Tor Bella Monaca, dalla carenza di luoghi di aggregazione, dalla scarsa qualità architettonica e costruttiva. C’è del positivo nell’interesse mostrato dal sindaco. D’altro canto il quartiere è stato considerato fino ad ora solo come un fastidioso tema da rimuovere. Le motivazioni addotte testimoniano un’idea un po’ astratta ed una scarsa conoscenza della situazione reale.



L’affermazione che il degrado sociale possa dipendere anche dalle caratteristiche costruttive dei fabbricati è un po’ debole. Non si può assumere come motivazione del programma «che ci sono perdite nei terrazzi e piove negli appartamenti perché costruiti con pannelli di prefabbricati». Non c’è alcuna relazione tra le tecniche costruttive utilizzate (prefabbricazione) e le perdite, che sono dovute solo a scarsa o addirittura assente manutenzione.

Le ragioni del degrado attuale sono da ricercare innanzitutto nel modello di quartiere e quindi di città scelto, nelle modalità con cui nel quartiere sono stati insediati i diversi gruppi sociali, nell’assenza iniziale – e in parte attuale – di servizi e di collegamenti con la città, nella mancata integrazione urbanistica e sociale con le borgate limitrofe e infine nell’assenza di manutenzione.



Il modello di città scelto per Tor Bella Monaca è ispirato alle esperienze dell’architettura neo-razionalista nordeuropea. Quartiere dello stesso modello sono nati in Germania, nei Paesi Bassi, in Austria… Per Roma il quartiere di TBM rappresenta un momento di discontinuità, sia rispetto ad esperienze come il quartiere Garbatella ispirato alle new towns inglesi, sia ad esperienze cosiddette neo-realiste come il quartiere Tiburtino. In entrambi i casi comunque il tentativo era definire delle “unità di vicinato”: l’isolato viene pensato come dimensione intermedia tra l’edificio e la strada. TBM invece stravolge completamente le modalità di costruzione del resto della città: si elimina quella “unità di vicinato” e si introducono tipi edilizi come la “casa a torre”, estranei alla tradizione italiana e romana.

Questo modello di quartiere tende all’atomizzazione del nucleo familiare, perché elimina lo spazio semi-privato e semi-pubblico del cortile, o corte. Si rompono così le relazioni sociali di base e si elimina anche lo spazio della strada e la sua complessità sociale e funzionale; la conseguenza è che accentua l’isolamento dei nuclei sociali di base.

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A completamento del quadro vanno aggiunte le “distrazioni” e gli errori delle recenti amministrazioni, che hanno portato alla mancata realizzazione di servizi essenziali. Un esempio emblematico: con i fondi del progetto URBAN è stato costruito, in adiacenza ad un complesso scolastico, al centro del quartiere, un edificio da adibire a biblioteca, ludoteca, centro di ascolto sociale. Ma sono ormai oltre 10 anni che quella struttura è ferma e non rifinita. Sta diventando già un rudere…

 

Cosa fare per risolvere questi problemi? Il metodo è imposto dall’oggetto. Intendo dire che la realtà sociale e fisica del quartiere va conosciuta nella sua interezza: i media, anche romani, utilizzano il quartiere di Tor Bella Monaca come il polo negativo in tutte le analisi sulla città. È considerato il Bronx di Roma, ma nel quartiere esistono realtà positive ignorate. Faccio due esempi.

 

L’area intorno a via A.D. Gabbiani è costituita da un tessuto di case a schiera con giardino, ben progettate, ben tenute, che non hanno nulla da invidiare ai migliori esempi europei di città-giardino. Questa parte di Tor Bella Monaca è stata costruita con la tecnica amministrativa dell’auto-costruzione: si concede ai cittadini-autocostruttori di un lotto di terreno in diritto di superficie ma nell’obbligo di costruire con un progetto unitario e secondo criteri dettati dall’Amministrazione.

 

C’è poi la forte presenza nel sociale di associazioni che lavorano sul tessuto umano del quartiere. “Libertà va cercando” ad esempio è un’associazione di volontariato per aiuto allo studio con l’attività di doposcuola gratuito. Questa associazione che svolge un ruolo delicatissimo, perché interviene sull’abbandono scolastico che è all’origine di parte del degrado sociale.

 

È su questi elementi positivi che occorre costruire un giudizio e quindi un intervento, che comunque è necessario per il quartiere.

 

Si è parlato di un “master plan” per la demolizione del quartiere. Il costo di una tale operazione sarebbe ingente: demolire e ricostruire oltre 30.000 alloggi costa non meno di due milioni di euro, senza considerare il costo delle opere di riconnessone viaria e che occorrerebbe consumare nuovo territorio della campagna romana per costruire manufatti sostitutivi; la sola necessità di smaltimento e bonifica, dei materiali di risulta delle demolizioni, comporterebbe la creazione di un numero significativo di nuovi impianti di smaltimento oggi inesistenti.

 

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Va inoltre aggiunto che le sole aree libere vicine al quartiere di TBM sono quelle della tenuta Vaselli. Comprese tra il quartiere di TBM e il quartiere sorto intorno alla via Prenestina, queste aree solo l’unico e l’ultimo polmone verde disponibile della zona: edificarle per diminuire la densità abitativa significherebbe compromettere drasticamente la vivibilità della zona.

 

Infine sono passati ormai oltre 25 anni dall’insediamento dei nuovi abitanti provenienti da situazioni sociali diverse: nel quartiere si è lentamente formato un nuovo tessuto sociale, che con operazioni traumatiche tornerebbe a distruggersi.

 

Oggi il solo fatto di interrogarsi sul futuro del quartiere, a parte le esagerazioni, getta un seme che va considerato positivo. Bisogna ripartire da qui, analizzando le situazioni più problematiche e individuando gli strumenti più adatti a risolverle. L’aspetto più negativo del quartiere è il suo isolamento dai quartieri e dalle borgate che lo circondano, che ne ha fatto una monade separata dal resto. Quindi sia sul terreno urbanistico-architettonico sia sul terreno umano e sociale l’intervento dovrebbe concentrarsi sulle relazioni spaziali e sociali del quartiere con il contesto che lo circonda.

 

Un intervento di “Rinnovo urbano” dovrebbe quindi partire dalla valorizzazione della qualità esistente (gli edifici costruiti con scarsa attenzione alla coibentazione termica andrebbero rivestiti con un “cappotto termico” e andrebbero mantenuti con un serio programma di manutenzione). Le parti non adeguabili e le superfetazioni andrebbero eliminate, pensando a demolizioni con interventi puntuali e non generalizzati: ad esempio per i grandi edifici a torre o in linea, e in quelle parti di scarsa qualità architettonica e tecnologica particolarmente dispendiose dal punto di vista energetico.

 

La ricostruzione poi dovrebbe tendere a realizzare unità spaziali e sociali intermedie tra la dimensione del quartiere e la dimensione dell’edificio, come gli isolati. Ci vogliono spazi semipubblici – come giardini interni alle corti, cortili e spazi intermedi – oltre a nuovi spazi pubblici e la loro reciproca connessione. Bisogna inoltre realizzare i servizi mancanti, come il verde pubblico (manca un parco, un polmone di verde adeguato, mancano giardini pubblici) ed i servizi sociali e culturali.

 

Servono infine connessioni viarie complesse e la riqualificazione dei quartieri circostanti (Torre Angela, Due Leoni, Casilina, Prenestina) attraverso la realizzazione dei Print (programmi integrati di riqualificazione) già previsti nel piano regolatore. Il costo di un simile intervento sarebbe assolutamente contenuto e le risorse potrebbero essere trovate principalmente attraverso il Print, comporterebbe un “consumo” contenuto di nuovo territorio al solo scopo di assorbire la riduzione di densità. Ma i benefici sociali sarebbero altissimi.

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