Se, durante un aperitivo, pronunci il termine lobbying, agli amici si rizzano i capelli sulla testa. Nella sua interpretazione nostrana, la lobby rappresenta qualche cosa di negativo, poco trasparente. Una sorta di accolita di persone che tramano nell’ombra per oscuri fini.Solo negli ultimi anni sta passando l’idea che, nella sua accezione originale, tipicamente anglosassone, la lobby non è nient’altro che un gruppo organizzato di persone che esercitano pressione nella società e nei confronti delle istituzioni, per uno scopo trasparente e dichiarato. Strutture intermedie, nate con l’unico intento di rispondere adeguatamente al costante innalzamento del coefficiente di complessità delle relazioni pubbliche.
La potenzialità e la necessità del costruire reti organizzate che potessero curare l’interesse pubblico di singoli o di società sono state colte in tempi non sospetti da Massimo Micucci, perché, come lui stesso sostiene, «nelle istituzioni non c’è un sistema di controllo verticale. Sono un grande network di responsabilità, disposte su tanti livelli, e il potere si è fatto estremamente più complesso». Reti spa, del cui gruppo Running srl è l’azienda deputata alla formazione, è stata definita da Milano Finanza non più di due mesi fa «l’unica società di lobbying modello anglosassone». «Running ha formato più di tremila persone nel corso dei nove anni della sua esistenza – spiega Micucci – Mentre cominciavamo a sdoganare in Italia la figura del lobbista, sia dal punto di vista istituzionale che da quello del marketing politico abbiamo visto che su questi temi era presente una forte esigenza di formazione con metodi innovativi sia dal punto di vista degli strumenti che delle metodologie. Così abbiamo costruito una struttura e una capacità organizzativa, pescando molto all’interno di realtà in cui le decisioni istituzionali vengono assunte. L’aspetto esperienziale della nostra formazione è essenziale». Quest’anno si occuperanno di “Comunicazione lobby e politica”, un corso che intende formare due figure professionali distinte, ma che possono definirsi due facce della stessa medaglia, il lobbista e l’assistente parlamentare. Ma anche di “Local government” attraverso una formazione che si prefigge di fornire ai partecipanti un quadro di riferimento esaustivo dello stato dell’arte alla luce della riforma del titolo V, nonché di approfondire e contemperare gli indispensabili aspetti teorici legislativi ed istituzionali utili a definire una efficace strategia di lobbying locale.
Ma cos’è una lobby?
È un termine molto utilizzato nel mondo anglosassone. Letteralmente indica un posto dove si aspetta qualcuno. Probabilmente deriva da un hotel che sta di fronte al Congresso americano, dove i rappresentanti dei vari interessi incontravano i parlamentari. Attualmente in Europa abbiamo molte migliaia di lobbisti. Penso a Bruxelles, alla sede della Commissione, dove molte persone lavorano sulle rappresentanze degli interessi nei confronti di chi prende le decisioni. Un mondo ancora poco regolato, ma d’altronde, mentre negli Stati Uniti sono presenti regole precise, la stessa Gran Bretagna è priva di una regolamentazione in materia.
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E chi è un lobbista?
È una persona capace di rappresentare al meglio presso le istituzioni interessi privati o associativi. Lo deve fare in modo organizzato e ordinato, secondo alcuni principi etici, quello della trasparenza, di un atteggiamento rispettoso nei confronti delle leggi e del ruolo delle amministrazioni pubbliche. Un lavoro, più che di negoziato o di influenza, di collaborazione con le istituzioni. Si consideri che la collaborazione di una società o un’azienda con le istituzioni, aiuta queste ultime nella tutela dell’interesse generale. E le aziende devono capire che l’unico modo per collaborare efficacemente con le istituzioni è quello di considerare il loro lavoro nell’ambito dell’interesse generale. Altrimenti le loro istanze diventano difficilmente recepite.
È possibile dare una definizione di cosa significa concretamente “fare lobbying”?
Diciamo subito che non è lobbista chi si propone di influenzare in modo non chiaro il corso del processo decisionale, attraverso attività legittime o borderline. Quella è un’altra cosa. Il lobbista aiuta il proprio cliente a comprendere che il proprio interesse “passerà” se cede qualcosa nei confronti dell’interesse generale. Si può riassumere dunque nel costruire un rapporto di relazione utile tra gli interessi e le istituzioni, che sia bidirezionale. Il lobbista aiuta dunque le istituzioni a comprendere meglio la società, a colmare le distanze tra le decisioni e quello che effettivamente succede.
È un termine dall’accezione ancora tendenzialmente negativa, almeno in Italia.
Anche da questo punto di vista ci stiamo evolvendo, non è più come una volta. Nel nostro Paese ci si è spesso riferiti a gruppi esclusivi, o ad atteggiamenti poco trasparenti. Mentre sono solo attività che si riferiscono alle attività pubbliche, i “pubblic affairs” del mondo anglosassone.
A livello di imprese la difficoltà a emergere è legata ad un dimensionamento solitamente piccolo o medio-piccolo, tipico del nostro tessuto produttivo?
Non credo che il problema sia solo il dimensionamento. La risposta dovrebbe essere spontaneamente quella di aggregarsi, di fare rete. Ci sono realtà italiane dove questo avviene, per iniziativa di alcuni giovani imprenditori. L’incapacità di fare rete, non il dimensionamento, è il principale problema del proporsi efficacemente all’estero.
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Quanto è capace il nostro Paese di “fare lobbing”. Il caso delle possibili Olimpiadi a Roma nel 2020 mette fortemente in discussione la capacità dell’Italia di curare i propri interessi a livello internazionale.
Esistono Paesi che sanno fare bene lobbying ed altri che non sanno farlo affatto. Una delle cose che emergono da Wikileaks è che le ambasciate americane nel mondo svolgono un’attività di lobbying per le proprie aziende nei Paesi in cui operano. Un’attività ragionevole e intelligente. Purtroppo l’Italia non è molto capace di farlo. Eravamo in Spagna con un’azienda molto importante che partecipava ad un progetto sull’alta velocità. Mentre l’ambasciatore tedesco si incontrava ogni settimana con l’azienda concorrente, noi il nostro l’abbiamo visto all’inizio e alla fine. Ci vuole fiducia in sé stessi per fare lobbying, cosa che in Italia manca, nonostante che l’”italianità” abbia un fortissimo appeal all’estero. Un problema culturale e politico di rappresentare al meglio il nostro sistema.
Quindi niente Olimpiadi?
La vedo brutta. Abbiamo deciso di fare l’alta velocità e nemmeno riusciamo a realizzarla, rischiando di perdere i fondi…
(Pietro Salvatori)