La complessa relazione tra opinione pubblica e governo ha insita in sé una questione costante: come, con quali mezzi e quali modi, con che virulenza criticare il potere? Se si confrontano la realtà dell’epoca del ventennio fascista e l’attualità contemporanea, si potrebbe osservare come, attraverso l’analisi delle differenze ideologiche e culturali delle varie anime dell’insieme degli italiani, ci sia sempre un modo per dare voce alle proprie opinioni senza per forza cercare lo scontro. Questa strada è indicata sulle pagine, è tracciata con l’inchiostro, resta stampata sui libri: è la poesia. Nella Roma del ventennio  fascista, non c’erano altri grandi poeti eccetto Carlo Alberto Salustri, al secolo Trilussa.



Un uomo, ma soprattutto un poeta nel vero senso della  parola, di quelli per cui non vale il motto “carmina non dat panem”, conobbe infatti un’unica professione, quella del poetare.
«Non era un anti fascista ma un non-fascista», spiega il Professor Giuseppe Renzi, presidente dell’Accademia Belli e titolare della Cattedra di Linguistica e Dialettologia presso l’Università Popolare di Roma. «Se ne stava neutrale sull’Aventino. Il regime lo lasciava fare perché era troppo popolare e benvoluto dalla gente. Anche per questo Trilussa poté permettersi di non accettare la tessera del fascio, anche se gli era stata offerta la numero uno dal Duce stesso. Eppure non ha mai fatto una critica al fascismo se non come critica al potere in senso lato, non agli uomini. Portava avanti i suoi motteggi attraverso la sdrammatizzazione tipica dei romani, un adattamento della realtà tramite ironia.



Perché Trilussa era un maestro dell’ironia: “Saluti a te, alato fante”, lo salutò Mussolini, “Saluti a te lesto fante” , rispose Trilussa. Ironia dovuta ad una distaccamento dal fascismo, e ad una, tutto sommato, tolleranza al disegno politico».
Un uomo che quindi, nella sua integrità, rappresenta una modalità di rapporto con una realtà ambivalente come è stata quella del fascismo. Un confronto con il presente ha una particolare accezione, come racconta il Prof. Tonino Tosto, presidente dell’università Popolare di Roma, e titolare di cattedra di Storia del teatro.

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«Il ricordo è diverso dalla memoria – afferma il professor Tosto – La memoria è confronto ed analisi, volte ad imparare. Parlando con Trilussa è interessante partire dalla mancanza di identità degli italiani. È un pensatore, uno chansonier, un uomo del suo tempo: non è possibile scrivere rimanendo agnostici, tant’è che anche lui ha espresso nelle poesie l’appartenenza piena alla sua realtà. In quanto uomo del ventennio fascista, comunica quello che vede provocando con l’ironia ma anche istigando alla riflessione. E’ l’atteggiamento proprio dei romani, per cui “mezza Roma protegge l’altra mezza”, è la coscienza del significato dell’appartenenza ad una romanità».

Un sorcio, che correva a più nun posso
pe’ nun fasse acchiappà da un micio rosso,

s’intrufolò de dierto a un cassabbanco
dove c’era accucciato un micio bianco.

 

Li pure la scampò; ma verso sera 
cascò fra l’ogne d’una micia nera.
Purtoppo-disse allora-o brutta o bella,

la tinta cambia, ma la fine è quella.

 

«La grande attualità dei nostri poeti, di Trilussa, deve sempre essere cercata e vista in relazione con la realtà con cui si confrontava», continua Renzi. «In sintesi, l’ironia di Trilussa trova comprensione nel riferimento alla politica, nel continuo tentativo di spronare il prossimo a reagire ad un sistema non libero. Eccola la contemporaneità. Oggi l’ironia è di chi sa cogliere in modo intellettuale le debolezze e comunicarle. Lo scopo di un poeta oggi è costruire qualcosa dal nulla ed osservare quello che vedono gli altri in modo diverso, anche del potere. È una spinta a vedere la cosa in maniera diversa, perché nella molteplicità nasce la democrazia».

 

(Caterina Gatti)

 

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