Un momento intenso della politica italiana. Tra i temi caldi il federalismo fiscale, l’annoso tema di Roma capitale, i conflitti di competenze tra le amministrazioni pubbliche e il governo centrale. Ieri, poi, è stata la giornata conclusiva degli Stati generali di Roma, che hanno rilanciato il tema dell’autonomia amministrativa per la città eterna, ma hanno anche acceso i riflettori su un emendamento del decreto milleproroghe che scioglierebbe la tela, faticosamente annodata nei mesi scorsi, della riduzione del numero di consiglieri comunali e di assessori nei comuni al di sopra del milione di abitanti.
Ne abbiamo parlato con la senatrice Baio Dossi, nel gruppo Misto di Palazzo Madama in quota Api.



Senatrice, facciamo il punto sul decreto “milleproroghe”. Tecnicamente, di cosa stiamo parlando?

È un decreto che è prassi che i governi adottino, utilizzandolo per prorogare tutti quei provvedimenti che altrimenti andrebbero in scadenza, e può anche integrare alcune cose specifiche, in funzione di una buona amministrazione.



In questo caso non è stato così?

No in questo caso il decreto ha peggiorato l’esistente al punto tale che è dovuto intervenire il presidente della Repubblica, ed è la prima volta che un fatto del genere si verifica.
Al Senato la maggioranza ha tenuto il decreto in naftalina in Commissione per evitare un esame approfondito del testo, che è stato approvato così in tutta fretta arrivando alla Camera in una forma discutibile. Avevano bisogno di trovare la quadratura del cerchio ed accontentare tutti coloro dei quali necessitavano l’appoggio. Per cui non hanno consentito che al Senato se ne potesse discutere.
Anche alla Camera è stata attuata la stessa strategia e il Presidente è intervenuto solo nel momento in cui il testo è uscito dalla commissione di Montecitorio.



Uno stop per il Governo?

Se non fosse intervenuto ieri, gli sarebbe arrivato un testo irricevibile e avrebbe dovuto rinviarlo alle Camere. Il problema è che c’è una maggioranza sofferente, che può anche conquistare, o acquistare, nuovi parlamentari, ma è priva di coesione e di un solido patto di governo e dunque si generano questo tipo di storture.

Nel decreto milleproroghe è stato introdotto un emendamento del senatore Cutrufo: comporterebbe l’annullamento della norma prevista dal Decreto di Roma Capitale che riduce il numero di consiglieri da 60 a 48 e il numero di assessori da 15 a 12. Se venisse approvato farebbe comodo al Sindaco Alemanno, di recente alle prese con una crisi della Giunta.

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È vero, si può chiamare assolutamente “emendamento Alemanno”. Ma si potrebbe anche chiamare “emendamento Moratti” o “emendamento Napoli”, perché riguarda tutte le città con più di un milione di abitanti. È un decreto che interessa sì la giunta di Alemanno, che è in difficoltà, ma anche la maggioranza sbriciolata di Milano. E’ un altro dei vulnus di questo decreto milleproroghe che non risponde alle esigenze dei cittadini, ma agli affanni della maggioranza. Questo comma del decreto Milleproroghe non scordiamo che interessa due comuni come Napoli e Milano che andranno fra poco al voto. Ridurre il numero di consiglieri e assessori significa ridurre la possibilità di garantire posti. Questo si generalmente si può fare solo in presenza di una grande coesione e unità.

È argomento di queste settimane il federalismo, a partire da quello fiscale. Oggi il presidente Berlusconi negli Stati generali ha rilanciato l’idea di uno statuto speciale per Roma capitale; lei è d’accordo che la città sia dotata di uno statuto particolare?

L’Italia deve riconoscersi in alcuni simboli e in alcuni valori comuni. Una nazione, per intenderci, può essere federale ma deve essere unitaria: si deve riconoscere in una lingua unica, l’italiano, fermo restando la salvaguardia dei dialetti locali; in un inno, quello di Mameli, che dovremmo tutti conoscere ed amare. E via discorrendo, di esempi se ne potrebbero fare tanti. In questo quadro la capitale dovrebbe essere punto di riferimento. Senza considerare che Roma è la Città eterna, ospita il Vaticano, ed è dunque la sede per eccellenza dei rapporti tra Stato e Chiesa. Considerando tutto ciò credo che sia corretto riconoscere alla città uno statuto speciale, anzi, proprio nella festa dei 150 anni dell’unità d’Italia può essere un elemento unificante nei riguardi di alcune forze politiche che compongono l’attuale maggioranza di governo.

Oggi si sono svolti gli Stati generali. Sul palco si sono alternati rappresentanti delle istituzioni a tutti i livelli, esponenti del mondo delle imprese e segretari di sindacati. Non crede che, al di là dei nomi, si sia offerto il modello di un’Italia che dialoga come prospettiva per uscire dalla crisi politica ed economica del Paese?

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Certamente sì, concordo assolutamente con questa osservazione. Come ha ricordato anche il presidente della Repubblica, che per me resta un riferimento insostituibile all’interno di questa crisi istituzionale, è fondamentale un dialogo profondo nel merito partendo dai valori che ci uniscono, in cui si deve riconoscere tutto il Paese. Quindi un palco così composto, con la presenza del sindacato, della Confindustria, la presenza di realtà importanti importanti per l’Italia sta a dimostrare che noi ci riconosciamo in questi valori. Noi vi ci riconosciamo, li preserveremo da ogni lettura ipocrita: serve un profondo dialogo.

Da dove può partire questo dialogo?

Penso ai tre valori della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza e fraternità; sulla libertà e sull’uguaglianza lungo la storia d’Italia e d’Europa è avvenuta una lunga e importante elaborazione che ha segnato tutta la storia culturale e politica del Paese. Se vogliamo un proficuo dialogo e una serena condivisione dobbiamo elaborare anche il tema della fraternità. Abbiamo bisogno di recuperare una leadership autorevole perché una società politica che non ha una leadership autorevole è una società che mette a rischio il naturale processo democratico.

 

(Pietro Salvatori)

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