Valli a capire, certi esperti d’oltreoceano. Adesso se la prendono anche con il quoziente familiare, un progetto che sarebbe colpevole di ridurre le entrate dello Stato e per di più sarebbe pure «una innovazione buona a scoraggiare ulteriormente il lavoro femminile, già scarso in Italia, soprattutto al Sud». Proprio lì dove – guarda un po’ – «i partiti che la sponsorizzavano erano quelli che fanno il pieno di voti». Insomma il solito pasticcio all’italiana, che per fortuna sembra ormai di là da venire, perché «i nostri politici non si possono permettere perdite di gettito» e perché – semmai – «la prima preoccupazione del legislatore dovrebbe essere quella di incentivare la partecipazione femminile alla forza lavoro e il quoziente familiare fa l’esatto contrario».



Lungi da noi, naturalmente, ogni idea di polemica nei confronti di tanti illustri luminari, con un curriculum lungo così. Ma certo resta l’amaro in bocca a leggere che questa riforma – definita «cara a Casini e al Pdl» – «sembrava la svolta della politica italiana, pur essendo solo un modo per ridurre le tasse alle famiglie monoreddito». L’articolo pubblicato sul sito Linkiesta.it da NoiseFormAmerika (e cioè il team di professori italiani che vivono in America guidato da Michele Boldrin) del resto ammette che «la famiglia monoreddito paga più tasse di una famiglia che guadagna lo stesso reddito ma diviso su due componenti». Con tanto di esempio: una famiglia con due redditi da 20mila euro annui paga 10mila euro di tasse; una famiglia con un solo reddito da 40mila ne paga 13mila.



Allora, date queste premesse, si deduce che l’attuale tassazione delle famiglie monoreddito o con tanti figli, pur riconosciuta ingiusta e iniqua rispetto a quella delle famiglie con più stipendi, deve perpetuarsi perché così va il mondo o perché si deve evitare di mettere in difficoltà le politiche di bilancio. C’è forse una ragione per la quale una famiglia monoreddito che guadagna 100 euro debba pagare più tasse di una in cui marito e moglie guadagnano 50 euro ciascuno? Oppure questa è la nuova frontiera dell’eguaglianza fiscale? Non è piuttosto un fatto di giustizia sociale che chi ha due stipendi sia chiamato a pagare non dico più tasse, ma almeno le stesse di un padre che deve mantenere una famiglia numerosa?



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E ancora. Il quoziente familiare è assai vantaggioso per la famiglie monoreddito e quindi rappresenta un forte disincentivo al lavoro femminile? Grazie della scoperta. Lo aveva già scritto parecchi mesi fa, esattamente l’8 febbraio 2010, l’ex ministro delle Finanze, il nostrano Vincenzo Visco, che dunque una qualche autorità in materia ce l’ha. «Il quoziente non fa miracoli – aveva chiarito – meglio puntare su assegni e detrazioni per i figli». Ma si era ben guardato dal considerare intoccabile l’assurdo e iniquo sistema attuale.

 

Quale, allora, la strada migliore? Le famiglie sono il primo ammortizzatore sociale e quindi devono avere a disposizione un ventaglio di interventi. Non c’è bisogno di innamorarsi delle definizioni. Non c’è solo il modello francese. Si può pensare al modello tedesco del Bif – basic income family: una deduzione dal reddito imponibile delle spese necessarie per il mantenimento dei figli, cioè per assolvere un obbligo costituzionale. Le tasse una famiglia le pagherebbe, cioè, sul reddito realmente disponibile, al netto del costo di mantenimento di un figlio: settemila euro per il primo figlio, seimila per il secondo, di nuovo settemila dal terzo in su. Era questa la proposta del Forum delle associazioni familiari un paio di anni fa.

 

Ma si possono esplorare altre strade. Il modello rimane quello. Chiamiamolo “fattore famiglia”, come dice il presidente del Forum Francesco Belletti. Il “fattore famiglia” – la proposta è stata al centro della conferenza nazionale della famiglia di Milano del novembre scorso – modifica l’attuale sistema, facendo sì che, a parità di reddito, una famiglia con tre figli paghi molte meno tasse rispetto ad una famiglia che non ha figli; esso può inoltre riconoscere altri fattori di difficoltà familiare (quale, ad esempio, presenza di disabili), sostenendo così la famiglia nei suoi compiti di cura.

 

Il “fattore famiglia”, capace di costruire un sistema finalmente equo, anche in questo caso a partire dal dettato costituzionale (artt. 30 e 31, ma soprattutto l’art. 53: «Tutti sono chiamati a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva») e capace di valorizzare il grande dibattito sul quoziente familiare oggi in corso, superandone i limiti. Non una bacchetta magica, insomma. Ma una soluzione. Con gli opportuni correttivi.

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