Il cardinal vicario di Roma Agostino Vallini ha presieduto stasera la veglia di preghiera organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio per i quattro bambini rom morti domenica sera nell’incendio della loro baracca. Il prelato – parlando nella basilica di Santa Maria in Trastevere – ha portato il saluto di Benedetto XVI. Vallini ha esordito definendo la morte di Sebastian, Patrizia, Fernando e Raul «atroce e umanamente inaccettabile»; la loro «unica sfortuna – ha proseguito – è stata quella di essere nati poveri e immigrati».
È stata un’omelia piena di attenzione per la sofferenza dei più deboli e di richiami ai cristiani perché si impegnino per promuovere una società più giusta. La morte dei quattro piccoli, ha ammonito il cardinale, non puà lasciare nessuno indifferente: «La morte di Sebastian, Patrizia, Fernando e Raul è come un macigno che ci pesa sul cuore e ci invita ad un grave esame di coscienza, ciascuno per la sua parte di responsabilità».
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Veglia di preghiera in memoria di Sebastian, Patrizia, Fernando e Raul
Omelia del Cardinale Vicario Agostino Vallini
Basilica di S. Maria in Trastevere, 9 febbraio 2011
Carissimi fratelli e sorelle!
La circostanza che ci vede riuniti è tra le più tragiche e dolorose della vita: la morte atroce e umanamente inaccettabile di quattro bambini innocenti, la cui unica sfortuna è stata quella di essere nati poveri e immigrati.
Se dinanzi al mistero della morte si rimane sgomenti, perché – qualunque sia la forma con cui ci ferisce – la morte rende enigmatico e penoso il nostro destino di creature che anelano alla vita e alla gioia, oggi il nostro sgomento sembra quasi superare la capacità di sopportazione, guardando a questi bambini ghermiti improvvisamente da una sorte crudele. Il mistero della morte di Sebastian, Patrizia, Fernando e Raul turba il nostro cuore e viene naturale domandarci: chi può consolare il dolore straziante dei genitori, dei parenti e di tutti noi? Quale luce può diradare il buio della morte?
A queste domande non ci sono risposte umanamente persuasive. Solo la fede può squarciare la notte del dolore e lenire l’angoscia della disperazione e aprire il cuore alla speranza che non ha fine.
La Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato ci invita a guardare oltre il buio, a fissare lo sguardo su Cristo Gesù, il Figlio di Dio che si è fatto uomo per amore nostro, ha dato la vita per noi, ha vinto la morte e ha donato lo Spirito Santo perché ogni uomo, con la sua forza, possa vincere la morte.
Parlando di Lui, abbiamo sentito dal profeta Isaia parole di consolazione e di speranza: Cristo è venuto “a portare il lieto annunzio a poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati… , a consolare gli afflitti”.
Questa fede, cari fratelli e sorelle, è la nostra forza che ci permette di riprendere il cammino faticoso della vita e andare avanti. Nella fede possiamo trovare luce e conforto, ripetendo con il salmo 121: alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto. Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra. Il Signore è il mio custode, il Signore è come ombra che mi copre, il Signore mi proteggerà da ogni male, ora e per sempre.
Il Vangelo ci ha parlato di Gesù che è attorniato dai bambini e dice che ad essi “appartiene il Regno dei cieli”. I bambini sono nel cuore di Dio. Essi, che sono venuti al mondo per un atto creatore di Dio, con la loro innocenza e bontà sono i primi ad appartenere al Signore e a godere eternamente con lui.
Questa parola di Gesù non può essere smentita e, su di essa, noi abbiamo la certezza che questi nostri quattro piccoli fratelli sono nella beatitudine del Paradiso.
Ma questo tragico evento pone anche a ciascuno di noi una domanda: potevamo fare qualcosa per scongiurare questa morte ingiusta ?
La morte di Sebastian, Patrizia, Fernando e Raul è come un macigno che ci pesa sul cuore e ci invita ad un grave esame di coscienza, ciascuno per la sua parte di responsabilità.
Viviamo in una società complessa, segnata da visioni culturali e modi di pensare molto diversi, spesso contrapposti, e nella grande città crescono l’anonimato, l’indifferenza, la non curanza e talvolta il disprezzo verso chi non la pensa come noi o viene a disturbare la nostra vita tranquilla e i nostri interessi. Anche l’egoismo fa la sua parte, rendendoci lontani, spesso insensibili verso chi sta male e manca di tutto.
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Questi nostri anni, segnati da una globalizzazione problematica, tra gli altri fenomeni registrano il crescente movimento di persone e di famiglie che emigrano dalle loro terre per fuggire dalle guerre, dalle violenze e dalla fame, alla ricerca disperata di pace e di dignità. Certo, la presenza degli immigrati pone nuovi problemi che non possiamo eludere né semplificare: sarebbe un errore umano gravissimo affrontare con superficialità ciò che è invece complesso e richiede per essere risolto efficacemente tempo, pazienza e lungimiranza.
Dinanzi a questo fenomeno è necessaria anzitutto una conversione personale e comunitaria del cuore, che ci faccia guardare la realtà con gli occhi della verità: non dimentichiamo che abbiamo davanti uomini e donne come noi, bambini come i nostri figli, fratelli nostri, che valgono non per quello che hanno o possiedono ma per quello che sono, persone umane. Ancor prima di soluzioni politiche e normative è necessaria una visione dell’uomo e della società che diventi cultura diffusa, ispirata dal rispetto per ogni uomo, perché è uomo, una cultura aperta all’accoglienza e alla solidarietà, nella legalità, per una integrazione sociale degna di una società progredita. Questo tragico evento sia dunque l’occasione per un maggiore impegno a far crescere e diffondere questa cultura.
Cari fratelli, se poi siamo cristiani, non possiamo non amare e non metterci dalla parte dei poveri, degli ultimi, degli emarginati: essi sono una “presenza reale” di Gesù Cristo.
La carità vera allora non può non essere accoglienza del fratello bisognoso. Accogliere il povero, l’immigrato vuol dire considerarlo uno di casa nostra, uno come noi, donargli il nostro tempo, fargli spazio nelle nostre amicizie, provvedere a lui anche con leggi giuste. Significa, inoltre, dargli cordialmente una mano per superare l’emarginazione in cui spesso si trova a vivere, testimoniandogli che Dio è amore e Padre di tutti e ci comanda di rispettare e promuovere l’inviolabile dignità di ogni persona umana.
Dinanzi ai tanti poveri, vecchi e nuovi, della nostra città dobbiamo chieder perdono a Dio e a loro di quanto non abbiamo fatto e convertirci. Lo facciamo questa sera meditando sulla morte di questi quattro bambini: nel loro sacrificio impegniamoci per una vita nuova.
Ma la carità è inseparabile dalla giustizia. Domandiamoci se non dobbiamo riparare in tanti casi alla giustizia negata, promuovendo una concezione della società in cui gli immigrati non siano considerati solo una fonte di problemi, ma persone meno provvedute e come noi titolari di diritti fondamentali. Né va dimenticato che essi sono di grande aiuto alla vita della comunità civile, nella quale svolgono molto spesso lavori umili e faticosi e offrono un prezioso contributo alla stessa economia del nostro paese. In questa logica non parleremo più di assistenzialismo, ma di impegno per la giustizia e la solidarietà.
Oggi il fenomeno immigrazione, a Roma, come in tante altre città, è una grave emergenza, che richiede misure urgenti per essere affrontata e superata.
Alle istituzioni civili, di cui apprezziamo l’impegno per far fronte all’emergenza, chiediamo di andare oltre l’emergenza, di operare con sapienza e pazienza per promuovere forme di integrazione sociale che permettano a chi si trasferisce nel nostro paese e vive legalmente condizioni di vita alla pari di tutti gli altri cittadini, a cominciare dal diritto alla casa, alla scuola dei figli, al lavoro. E’ una questione di giustizia che un paese democratico non può eludere.
Queste tragedie ci fanno capire che molta strada resta da fare. Per costruire il bene comune e la pace sociale è necessario cooperare, attraverso politiche adeguate, a creare i presupposti per l’emancipazione e la liberazione dell’essere umano da ogni forma di emarginazione e dai meccanismi dell’esclusione sociale, perché venga dato per giustizia ciò che oggi forse diamo per carità. In questo senso cresca nel nostro paese la cultura del diritto, dell’uguaglianza e della giustizia sociale, lavorando per superare le cause strutturali di ogni emarginazione sociale.
Cari fratelli e sorelle, Roma, patria del diritto, ha anche una grande storia di umanità e di carità, costruita da tanti Santi, che hanno lasciato una traccia indelebile nella nostra città. Questa sera chiediamo a loro di intercedere per noi, perché ci ottengano la grazia di un cuore nuovo e ardente, affinché la Chiesa di Roma, con la parola e le opere, sappia testimoniare la sua fede nel Dio Amore.
Affidiamo alle braccia misericordiose di Dio Sebastian, Patrizia, Fernando e Raul, e chiediamo a Lui, il Dio di ogni consolazione, di lenire il dolore e le lacrime dei loro genitori.
Il Signore ci doni occhi capaci di vedere queste sofferenze e di non chiudere mai il cuore al grido dei poveri.
(Fonte: Avvenire.it)