Ha dispensato la sua ultima grazia in Ucraina: a una madre disperata, che ha invocato quella beata tanto strana, e insieme così vicina. E potrebbe essere proprio questo il miracolo che farà diventare santa Elisabetta Canori Mora. Sicuramente alla beata, che ha vissuto l’infedeltà coniugale come occasione per santificare se stessa e convertire il marito fedifrago, non dovrebbe, di questi tempi, mancare il lavoro. E pregare sulla tomba della beata Elisabetta, è un’occasione unica per ammirare uno dei gioielli architettonici del Barocco romano. Sulla soglia della Chiesa del San Carlino alle Quattro Fontane – a due passi dal Quirinale – ci accoglie padre Javier Carnerero, della Comunità dei Trinitari spagnoli, ancora custodi della Chiesa progettata per loro, nel 1643, dal geniale Francesco Borromini. Oggi padre Javier custodisce anche la memoria di Elisabetta, come postulatore della sua causa di canonizzazione.



La tomba è in una cappella accanto all’altare, ornata di fiori freschi, dato che la sua festa è passata da poco. «Quando il 4 febbraio del 1825 Elisabetta è morta, già santa per il popolo romano che a lei si rivolgeva già da tempo – racconta padre Javier – è stata sepolta nella cripta della Chiesa. Abitava a meno di un isolato di distanza, era una terziaria trinitaria e frequentava moltissimo la nostra chiesa. Una volta dichiarata venerabile è stata portata quassù. Con lei anche l’immagine miracolosa di Gesù Nazareno del Riscatto, il capofamiglia, di fatto, dei Mora».



La storia di Elisabetta comincia in una nobile e numerosa famiglia romana, caduta in disgrazia alla fine del 1700: dopo una breve “educandato” nel Monastero di santa Rita da Cascia, in compagnia della sorellina Benedetta, Elisabetta – divenuta nel frattempo una bella e vivace ragazza – viene data in sposa a un ottimo partito: Cristoforo Mora, promettente avvocato e figlio di uno dei medici più in vista della città. Dopo i primi anni il matrimonio – all’apparenza perfetto – comincia a scricchiolare: Cristoforo da amante geloso fino all’ossessione – tanto da non far più uscire di casa la moglie e da impedirle qualsiasi lavoro manuale per non sciupare la sua bellezza – si trasforma in marito infedele. Perde la testa per una donna di rango inferiore – che non lascerà fino alla morte della moglie – dilapida il patrimonio di famiglia, incurante anche del destino delle due figlie, Marianna e Lucina: per Elisabetta è l’inizio di una vita travagliata, segnata da incomprensioni, umiliazioni, miseria, eppure mai dalla disperazione. La ragione è semplice: la fedeltà alla vocazione che Dio le aveva dato significava amare suo marito. L’autobiografia scritta da Elisabetta – su ordine del suo padre spirituale, che si era reso conto di avere a che fare con una donna dai talenti straordinari – è il racconto di un dialogo serrato con Dio, cui Elisabetta si abbandona totalmente.



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Lui le risponde sempre, tirandola fuori dai peggior guai: quando il marito arriva quasi sul punto di ammazzarla, quando è costretta a vendere tutti i gioielli, abito da sposa compreso, per pagare i creditori; quando deve far fronte alle calunnie delle cognate, che la trattano come una serva, riservandole sempre i lavori più umili e tentando di rinchiuderla nel Convento romano, destinato alle prostitute impenitenti; quando anche alcuni confessori le suggeriscono di separarsi dal marito, ma lei capisce che il suo compito è dare la sua vita per la salvezza di Cristoforo e per quella delle figlie.

 

«Elisabetta non è una donna che subisce passivamente – racconta padre Javier – il giudizio sul comportamento del marito è chiaro e glielo dice; eppure lo perdona, lo aspetta ogni notte – pur sapendo che rincaserà solo all’alba – arriva addirittura a pregare anche per l’amante di Cristoforo». Cristoforo, dal canto suo, una cosa buona la fa: lascia totalmente libera la moglie di educare le figlie come vuole, mettendosi contro anche le accanite sorelle zitelle.

 

A Elisabetta non mancano i segni , che il calvario intrapreso sia, realmente, la strada della sua santità: in una delle sue numerose visioni, in un periodo di particolari ristrettezze economiche, Gesù le annuncia che sarebbe diventato presto il suo capofamiglia. Detto, fatto: il giorno dopo un sacerdote sconosciuto suona alla porta, consegnandole un’immagine di Gesù, che, da lì a poco, diventerà famosa in tutta Roma, per i tanti miracoli concessi. Tra i beneficiari si contano addirittura due Papi. Ma in vita Elisabetta non vedrà accadere il miracolo più atteso: la conversione di suo marito. Cristoforo si rinnamorerà di lei, solo dopo la sua morte, decidendo di cambiare in modo radicale la sua vita: diventa frate conventuale e anche sacerdote.

 

Non è mai troppo tardi per lasciarsi amare. E le tante donne tradite o madri in difficoltà, che vengono a pregare sulla tomba di Elisabetta sanno bene che Dio può far santo anche il più incallito peccatore. Con buona pace dei sepolcri imbiancati.

 

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San Carlino alle Quattro Fontane

 

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L’interno della chiesa (foto di Luigi9555 @ Flickr)

 

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Foto di Delaque79 @ Flickr

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