«Il nuovo progetto per il sottopasso davanti all’Ara Pacis è un’idea che serve a correggere gli errori commessi negli anni scorsi. Non si tratta di una grande idea, ma è meglio di niente. Non credo però che le autorità alla fine lo attueranno davvero». E’ quanto afferma il critico d’arte Vittorio Sgarbi, contattato da Ilsussidiario.net, in merito al progetto presentato sul Corriere della Sera di oggi. Secondo gli intenti, l’intervento consentirà di eliminare il traffico intorno alla celebre teca di Richard Meier, con un percorso che si interrerà subito dopo ponte Cavour. Quindi all’altezza del circolo della Tevere Remo, all’incrocio con Passeggiata di Ripetta, avrà una sorta di biforcazione: da una parte proseguirà nell’attuale sottopasso che sbuca al ministero della Marina, dall’altra uscirà su lungotevere in Augusta un po’ prima di ponte Regina Margherita.
Un progetto che si inserisce nell’intervento, piuttosto contestato, dell’architetto Richard Meier, che aveva inserito il monumento dell’Ara Pacis in una teca di vetro. Per Sgarbi, il progetto del sottopasso con doppia uscita «è un’idea modesta e non di particolare qualità, si tratta di una correzione che risolve qualche piccolo problema, ma certo non in modo brillante. La soluzione ideale sarebbe stata quella di ricostruire integralmente il Porto di Ripetta, seguendo il modello originale il cui disegno è stato conservato ed è giunto fino a noi».
E aggiunge il critico d’arte: «La mia proposta è utilizzare le incisioni originali dell’epoca, estraendo così una suggestione compositiva dalle conoscenze che ci sono state tramandate. Sarebbe in assoluto l’opzione ottimale, anche se il problema più grave resterebbe comunque immutato». E a chi gli chiede di spiegare a che cosa si riferisce, Sgarbi replica, alludendo alla teca di Meier: «Il problema è che poi rimane intatta la scatola, anzi, quell’orrenda scatolona o piuttosto quella scatola da scarpe». Contro la teca di Meier, Sgarbi aveva scagliato le sue saette fin dal lontano 2003, ma ormai cosa fatta capo ha ed è difficile rimuoverla.
Anche se il critico d’arte rivendica: «Non sono certo stato l’unico che all’epoca si era espresso contro l’intervento di Meier. Diciamo che forse io lo avevo fatto in maniera un po’ più enfatica di altri, affermando che si trattava di un grave errore. Oggi andrebbe abbattuta completamente. Quantomeno, occorrerebbe rimuoverne in parte gli elementi compositivi più discutibili, almeno nei limiti del possibile». Sgarbi esclude invece che l’intervento per il sottopasso possa essere interrotto dal ritrovamento di nuovi reperti archeologici: «E’ improbabile che accada, perché non si tratta di interventi così radicali. E poi ci si trova in prossimità del Tevere, e quindi è raro che in quella zona ci siano dei reperti archeologici. Tutt’al più saranno trovate delle tracce del porto di Traiano».
E prosegue il volto noto della tv nostrana: «La chiusura al traffico davanti all’Ara Pacis è necessaria ed è una scelta giusta. Bisognerebbe però intervenire con un nuovo progetto dai colori più caldi e vivaci, per restituire l’idea di un ambiente dionisiaco e lunare». Anche se per Sgarbi l’Ara Pacis «di dionisiaco non ha nulla, è un elemento anti-dionisiaco per eccellenza e, da un punto di vista artistico, è un fallimento». Il polemista si dice però molto scettico sul fatto che alla fine l’intervento sarà attuato: «Sono tutti discorsi da accademia, perché la Sovrintendenza ha approvato il progetto del sottopasso, ma alla fine non lo realizzeranno mai».
E di Alemanno, Sgarbi dice: «Il suo mandato scade già tra due anni, e quindi la sua permanenza come sindaco di Roma è stata breve più o meno come la mia a Salemi. Cinque anni passano davvero in fretta, occorre inventarsi proposte particolarmente insolite per lasciare il segno e passare alla storia. Altrimenti a che cosa serve candidarsi?». Prima di chiudere l’intervista, Sgarbi ci tiene però a lanciare un’ultima stoccata a Meier: «E’ un buon architetto, ma i suoi limiti emergono quando deve operare in un contesto già definito, con delle caratteristiche sue delle quali è indispensabile tenere conto. E Roma è un contesto definito per eccellenza. Per questo motivo, avrei preferito che al suo posto fosse stato chiamato qualcun altro».
(Pietro Vernizzi)