Ieri sera all’Aula Magna della Sapienza, l’Istituzione Universitaria dei concerti ha dedicato una serata a Nicola Sani, in occasione dei suoi cinquant’anni, presentando in prima esecuzione assoluta due suoi lavori, che formano un dittico, avendo in comune il quartetto d’archi come base timbrica e derivando entrambi il loro titolo da due tele di Mark Rothko, dipinte nel 1958. In Four Darks in Red la disposizione spaziale del quartetto – i due violini alle estremità, violoncello e viola al centro – riprende l’organizzazione delle forme nella tela di Rothko – quattro rettangoli di diversa misura e di diverse tonalità scure, disposti verticalmente su uno sfondo rosso altrettanto scuro. La parte elettronica ad otto canali è realizzata a partire dalle strutture sonore eseguite dallo stesso quartetto d’archi.



In Black Area in Reds viene sviluppato lo stesso concetto, determinando un antagonismo timbrico tra quartetto d’archi e trio composto da clarinetto, pianoforte e percussioni, come il nero è contrapposto ai rossi nel quadro di Rothko. Il programma era completato da musica di tre  grandi compositori Gustav Mahler, Anton Webern e Claude Debussy, attivi nell’affascinante periodo tra fine Ottocento e inizio Novecento, quando gli ultimi bagliori del romanticismo s’incontrano con il decadentismo, l’impressionismo e i primi fermenti del nuovo secolo. Di Mahler è stato eseguito il giovanile Movimento di quartetto, in cui già si avvertono sia la cupa drammaticità che le estenuate dolcezze delle Sinfonie.



Giovanile è anche il Movimento lento di Webern, in cui questa icona delle avanguardie musicali novecentesche si dimostra ancora un fervente ammiratore di Wagner e dello stesso Mahler. La Rapsodie fu invece composta da Debussy nel pieno della sua maturità artistica ed è un brano virtuosistico, che sfrutta tutti colori del clarinetto. Le esecuzioni  affidate a un gruppo di musicisti tra i più esperti e apprezzati nel campo della musica contemporanea, il Quartetto d’archi di Torino, l’Ensemble Algoritmo e il direttore Marco Angius. Fabio Ferri è il sound engineer e Nicola Sani stesso si occupa della regia del suono. Il concerto è stato applauditissimo da una sala piena in ogni ordine di posto.



Una rarità in una Roma ritenuta “generona” e “canzonettara”? Non proprio, i programmi sia della IUC e che dell’orchestra della Terza Università di Roma privilegiano il contemporaneo. Inoltre, l’associazionismo italiano (Nuova Consonanza) e straniero (in particolare le sedi romane delle Accademie di Francia, Germania, Olanda e Stati Uniti) sono molto attivi. A Roma nella neoclassica sala del conservatorio di Santa Cecilia si svolge ogni anno EMUFEST, il più prestigioso festival europeo di elettro-acustica.

Basti sapere che nel 2009  e nel  2010, se non fosse stato necessario ridurre il programma predisposto per il Teatro Nazionale (la seconda sala del Teatro dell’Opera) a causa di ristrettezze finanziarie, Roma avrebbe avuto una dozzina di ore in più di concerti e opere contemporanee di quelle realizzate a  Berlino. Si tratta di eventi spesso affollati, come si è visto al Teatro Olimpico, in occasione delle rappresentazioni della rielaborazione del mozartiano “Flauto Magico” in chiave interetnica e contemporanea, ogni volta che sono in programma prime mondiali e nazionali e in altre sedi concertistiche e sceniche universitarie. Pochi ricordano, inoltre, che alla fine degli anni Trenta, l’Italia è stato il primo paese a lanciare un festival mondiale di musica contemporanea, a Venezia, che nella normativa sui teatri lirici del 1936 La Fenice era deputata all’innovazione e alla sperimentazione e che grazie alla Filarmonica e all’Associazione Nuova Consonanza è stata all’avanguardia della musica contemporanea europea sino alla fine degli anni Settanta.

Nel 2003, con il volume “L’Orchestra del Duce”, Stefano Bigazzi ha raccontato come lo stesso Stravinskij avesse stretto un rapporto privilegiato con Palazzo Venezia considerato, piaccia o non piaccia, uno dei pochi “luoghi della politica” dove si dava rilievo e priorità alla musica contemporanea e d’avanguardia. Per toccare con mano quanto sia stata importante Roma nel periodo denominato “notte della Repubblica”, va segnalata una vera chicca editoriale appena uscita: “Marjorie Wright, una cantante fuori dal comune” (Zecchini Editore). La Wright, cantante irlandese specializzata nel repertorio della contemporaneità più impervia, prima da soprano di coloratura, poi da mezzo soprano e infine da contralto acuto, ha vissuto in prima persona successi e intrighi e conduce il lettore in un labirinto internazionale che aveva allora Roma come punto di riferimento. Una lettura da consigliare al sindaco Gianni Alemanno: la musica contemporanea è una leva importante che non va trascurata nel rilancio della Capitale.

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