Il problema della maxi-truffa verificatasi nella “Roma-che-crede-di-essere-ancora-bene”, può essere affrontato in due modi. O facendo leva sui pettegolezzi, ma allora si vada da Dagospia e simili. Oppure utilizzando gli stilemi della teoria economia. Chi scrive è in grado di seguire questo secondo approccio (non il primo). Dunque, chi vuole sapere quale pariolino è stato truffato e di quanto e perché, passi oltre e vada a fonti di informazione all’uopo.



Due stilemi recenti dell’analisi economica spiegano il fenomeno. Il primo è macro-economico e finanziario. Il secondo è principalmente micro-economico. Il primo è la teoria della “grande moderazione” sviluppata da Hyman MInsky, di cui quest’anni ricorrono i cinquanta anni dalla morte. La seconda è la “teoria economica dell’informazione” iniziata da un gruppo di giovani economisti, tra cui Joseph Stiglitz, al centro di ricerche sullo sviluppo all’Università di Nairobi all’inizio degli Anni Settanta.



Minsky elaborò la “teoria della grande moderazione” per spiegare la crisi delle Borse del 1987. I suoi allievi, specialmente Steve Keen, la applicano con successo per analizzare la crisi finanziaria iniziata nel 2007. In breve, secondo i teoremi di Minsky, testati econometricamente, le liberalizzazioni, le privatizzazioni e le politiche di contenimento dei disavanzi pubblici iniziate nel primo scorcio degli Anni Ottanta hanno dato luogo hanno fase di “grande moderazione”: crescita contenuta ma continua, bassa inflazione, aumenti della valorizzazione di varie attività economiche ma bassi rendimenti. Ciò ha comportato, da un lato, la sensazione che anche i rischi fossero “moderati” e stimolato gli appetiti per impieghi più remunerativi, come quelli proposti da “Giampi” Castellacci, senza avere contezza che maggiore remunerazione comporta inevitabilmente maggiori rischi.



Chi si rivolgeva a “Giampi”? La “Roma-che-crede-di-essere-ancora-bene” unitamente a una variopinta schiera di quelli che elegantemente i francesi chiamano “nouveaux risches”, unitamente a qualche contessa e a qualche barone la cui finanze erano state rimpinguate da eredità (più o meno inattese). Sotto il profilo economico – nessuno se la prenda – tutti “cretini” nel senso di privi degli strumenti analitici di base per trattare di finanza.

Qui entra in ballo la teoria economica dell’informazione: chi non dispone degli strumenti di base di una disciplina se ne deve tener lontano in quanto altrimenti, quale che sia il ramo del sapere, perde o la faccia o i soldi od ambedue. In effetti, anche “Giampi” – sotto il profilo strettamente economico – si è comportato da cretino, facendo operazioni rischiose, quasi sempre allo scoperto e pensando che la catena potesse durare a lungo nella illusione che nessuno lo denunciasse in quanto nella “Roma-che-crede-di-essere-ancora-bene”e nella variopinta schiera c’era qualche mariuolo che riportava in Italia capitali guadagnati in modo più o meno legale e tenuti all’estero. Prima o poi, il castello di carte sarebbe caduto.

Forse “Giampy” pensava che ciò sarebbe avvenuto dopo un suo trasferimento in qualche isola lontana. La teoria economica dell’informazione ci insegna che proprio sulla tempistica è dove non solo i furbetti, ma anche gli economisti più preparati commettono errori. Tanto che hanno elaborato strumenti statistico probabilistici come le “Simulazioni di Montecarlo” per limitarli. Senza illudersi di scansarli.

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