Come in una fiction a puntate la megatruffa del “Madoff dei Parioli” ogni giorno arricchisce la propria trama di nuovi dettagli, tra colpi di scena e comparse eccellenti, offrendo uno scorcio di Roma inedito, almeno a chi non conosce la Capitale.
Ieri infatti è stata resa nota la “lista segreta” di chi aveva portato i propri soldi all’estero: 500 nuovi nomi che vanno ad aggiungersi a quelli già conosciuti di attori, calciatori e vip della “Roma bene”. Al loro fianco tante persone comuni, in un elenco complessivo di migliaia di investimenti di taglie differenti e di diversa fortuna. Agli inquirenti l’arduo compito di decifrare l’identità dei truffati (spesso mascherata dai nomi dei rispettivi cani domestici), ma soprattutto di ritrovare il tesoro di Gianfranco Lande, probabilmente alle Bahamas.



Tra le “new entry” Mario Adinolfi, giornalista romano direttore di “The Week, blogger, politico del Pd, già candidato a sindaco di Roma e alle primarie, nonché giocatore di poker.
«La mia storia – spiega Adinolfi a IlSussidiario.net – è quella di un ragazzino che a 24 anni mette una parte di soldi vinti in una causa, circa 50 milioni di vecchie lire, nel fondo di Roberto Torregiani. Cinque anni dopo, nel 2000, il ragazzo ormai cresciuto passa alla cassa, ritira il capitale e gli interessi, una settantina di milioni, e chiude per sempre la partita. I conti che in questi giorni si leggono sui giornali sono completamente inventati (338.318,23 euro secondo La Repubblica di ieri ndr). Probabilmente la mia posizione è stata usata per coprire qualcun altro. Io non sono un ricco benestante, se mi avessero sottratto una cifra del genere non me ne sarei rimasto di certo con le mani in mano».



Lei perciò è uno dei pochi che è riuscito a uscire in tempo, e in attivo, da questa vicenda. Come ha fatto però a finirci dentro?

All’epoca ne capivo poco, ma qualche amico di scuola mi aveva spiegato che in questo modo era possibile ottenere interessi del 16% sul capitale investito, cosa che poi effettivamente è avvenuta. Io però non sono un “pariolino”, sono un “testaccino”, vengo dai quartieri popolari. È difficile che possa credere a lungo al “gatto e la volpe”…

Cosa l’ha insospettita? 

Parecchie cose. Non c’erano targhette sulla porta, quando chiamavi non rispondevano mai con il nome della società e tanti altri dettagli. Da giocatore di poker ho imparato a riconoscere un bluff, per questo non ci ho messo 16 anni a chiudere il conto.
Vede, a Roma sono sempre esistiti, soprattutto nell’ambito del commercio, questi “generoni” pieni di soldi che raccolgono i quattrini da gente a cui comunque ne avanzano. In quelle liste, per intenderci, non penso che ci sia qualcuno che si sia giocato la pensione.



Si è scritto molto in questi giorni di quei vip sempre in prima fila a predicare la legalità che vengono poi scoperti con le mani nella marmellata. Verità o moralismo secondo lei?

Io non faccio nessuna valutazione morale. La moralità quando si tratta di soldi consiste nel non buttarli via. Di certo oggi non rifarei quel tipo di scelta perché non si tratta di una cosa sicura e, comunque, a conti fatti mi ha procurato un danno: sul mio conto sono state scritte delle inesattezze e rimarrà comunque un marchio. Non solo, infatti, mi sono stati attribuiti soldi che non possedevo, sono stato fatto anche passare per un evasore che non si è avvalso dello scudo fiscale. Per carità, conosco bene i meccanismi del giornalismo: Adinolfi, il poker, le scommesse…

A questo proposito, lei è l’ideatore di una “scommessa collettiva” che prospetta dei buoni guadagni, seppure con un capitale garantito, a chi vi partecipa. Com’è possibile? Non sarà anche questa una riedizione dello “Schema Ponzi”?
 
Assolutamente no. Garantisco a chi partecipa alla scommessa collettiva che non perderà il proprio capitale. Se le scommesse vanno bene ci guadagniamo tutti, se anche andassero meno bene di sicuro non ci perdiamo.

Ha inventato un “sistemone”?

Non ho inventato nulla, esistono già dei sono sistemi scientifici ormai conosciuti, che permettono di ottenere vincite molto piccole, ma costanti. Sommando tante vincite piccole si ottiene un ottimo risultato collettivo.

A questo si aggiunge anche il poker. Adinolfi, lo ammetta, il gioco inizia a essere una malattia?

Ma quale malattia… Innanzitutto il poker non è un gioco d’azzardo, ma uno skill game, volgarmente detto, un gioco di abilità. Alcuni risultati oggettivi mi dicono che sono abbastanza abile: sono infatti di ritorno dal Torneo mondiale di Vienna e dal Torneo europeo di Berlino in cui mi sono classificato rispettivamente quarto e ventiduesimo, incassando un totale di 135.000 euro.
È un gioco che si basa tutto sull’analisi matematica e psicologica. Bisogna solo essere bravi a gestire questi dati.

Ma come si diventa professionisti del poker?

Con l’allenamento. Io ad esempio vivo su internet e ho iniziato a giocare in rete. On line si possono studiare i meccanismi, si impara ad azzerare il livello di rischio e si fa molta esperienza affrontando in breve tempo più o meno tutte le casistiche possibili, anche perché nel tempo di un poker live, si giocano almeno cinque mani on line. Quando finisce il “tirocinio” on line il poker live diventa un gioco da ragazzi…

E così l’anima rottamatrice del Pd, quella che sogna per intenderci uno scontro Alfano-Renzi, ricomincia dal tavolo verde? Non sarà poco di sinistra?

L’importante è fare le cose per bene, regolari. L’unica altra regola a cui dobbiamo essere fedeli è questa: moralisti mai.

(Carlo Melato)