Il 17 settembre 2010, con il decreto numero 156 approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri, si delineava l’assetto ordinamentale di Roma Capitale, senza però precisare competenze, funzioni e poteri da trasferire alla città. Il sindaco Gianni Alemanno aveva promesso un secondo decreto, attraverso una seria collaborazione tra Comune, Provincia e Regione. Collaborazione che però si aspetta da quasi un anno e che ancora non è avvenuta, lasciando il progetto di Roma Capitale ancora come un cantiere aperto. IlSussidiario.net ha intervistato Marco di Stefano, Consigliere Pd alla Regione Lazio e Presidente della commissione di Roma Capitale.



Onorevole, perché l’intesa su Roma Capitale sembra ancora lontana?

Con il primo decreto del 2010 è stato soltanto definito lo status di Roma Capitale. Per la creazione del secondo decreto Alemanno ha ottenuto una delega dal governo che scadrà a breve, ma ancora non si è mosso nulla. Speriamo che si possa prorogare di sei mesi il termine della delega e, fatto questo, si possa capire cosa diventerà realmente Roma Capitale. Molto dipenderà dal rapporto che si creerà tra le amministrazioni, sia in termini di federalismo fiscale che di struttura geografica.



Cosa intende dire?

Credo che questa discussione non possa aver luogo soltanto sul confronto-scontro tra il Comune e la Regione Lazio per quanto riguarda le deleghe. È una questione che coinvolge tutto il territorio nazionale, perché è chiaro che se Roma Capitale diventerà una sorta di nuova Regione, sarà il Lazio a non avere più ragion d’essere. A quel punto le province verrebbero attratte dalle Regioni limitrofe. Serve un confronto serio perché esistono ancora troppe diverse scuole di pensiero.

Ad esempio?

C’è chi la immagina dentro ai confini di Roma, chi sostiene che debba agganciarsi ai comuni limitrofi e chi invece ritiene che debba accorpare alla città centoventuno comuni.
Poi bisognerebbe ridefinire i rapporti tra questo nuovo soggetto e la Regione. I Municipi potrebbero anche diventare comuni metropolitani, ma è un’utopia pensare che Roma possa allargarsi all’intera provincia.



Qual è secondo lei l’ipotesi migliore?

A mio parere deve esserci davvero un decentramento amministrativo e di bilancio, in favore dei Municipi, in modo che ciascuno di essi abbia uno statuto giuridico.

L’Onorevole La Loggia, in una recente intervista a IlSussidiario.net, ha fissato un limite entro cui raggiungere un accordo, il 30 giugno. Lei pensa che questo sia possibile?

Bisognerebbe essere molto ottimisti per pensare che si possa rispettare questa scadenza. Quando abbiamo posto delle questioni al Presidente La Loggia ha tenuto a dire che erano questioni di cui ci saremmo occupati tra dieci anni. Penso però che chi faccia l’amministratore debba prevenire le problematiche per tempo.
Realisticamente entro giugno si potrà soltanto immaginare cosa sarà Roma Capitale, cercando di definire quali potrebbero essere i poteri. A mio avviso l’unica soluzione possibile è quella di una Roma Capitale con dodici, quindici o diciannove comuni, abbandonando l’idea di un’area metropolitana diffusa.

Ma l’accordo non si trova perché nessuno a disposto a cedere una parte dei propri attuali poteri?

Certo e non è il caso di nasconderlo. Quando è all’ordine del giorno una trasformazione di questo genere o si trova una sintesi fra tutte le istituzioni e le forze politiche o diventa difficile concretizzare un progetto del genere. Occorre aprire un tavolo istituzionale, cosa che nessuno per ora è mai riuscito a fare.

Influiscono negativamente anche ragioni di schieramento tra una provincia governata dal centrosinistra e una Regione e un comune amministrate dal centrodestra?

Penso che su un’operazione così importante non debbano prevalere interessi di bottega. È chiaro  però che più si avvicinano le elezioni comunali e provinciali e più le cose si complicano.

Ma se davvero si superasse il termine del 30 giugno cosa rischierebbe di perdere la città e i cittadini romani?

Sarebbe molto difficile a quel punto attuare il federalismo fiscale. Bisogna poi tener conto che se Roma avrà nuove funzioni avrà bisogno anche di nuove entrate. E questo si tradurrà, nonostante le rassicurazioni di La Loggia, in nuove tasse per i cittadini. Così com’è stato approvato dalle Regioni, il federalismo fiscale non sarà molto solidale ed equo, ma anzi eserciterà una pressione fiscale molto più forte sulle imprese, che saranno le realtà maggiormente penalizzate.
Immagino poi che il Comune faticherà a trovare le risorse per fare ad esempio appalti per le strade e per le scuole, mettendo in difficoltà i cittadini, ma anche le imprese di Roma e del Lazio.

Il suo giudizio sulla riforma federale complessiva del governo Berlusconi è perciò assolutamente negativo?

Il federalismo in sé è una buona iniziativa, ma deve essere però solidale ed equo con tutti. Gli amministratori della Lega al Nord stanno trasmettendo ai propri cittadini il messaggio inverso. Stiamo correndo un grave rischio: se fatto bene il federalismo può rilanciare il Paese, se fatto male lo può mettere in ginocchio.

(Claudio Perlini)

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