E’ sconvolgente il filmato in cui l’autista di un autobus di linea fra Anagnina e l’aeroporto di Ciampino guida con i gomiti perché ha entrambe le mani impegnate da due telefonini. Le autorità hanno assicurato che apriranno un’inchiesta e che il guidatore in questione rischia il licenziamento. Ma se non ci fosse stato questo filmato, che cosa sarebbe accaduto? E quanti sono gli autisti, pubblici e privati, che hanno comportamenti analoghi e non vengono puniti? Personalmente mi è capitato diverse volte prendere taxi i cui autisti parlano al telefono. Sempre più spesso si vedono spazzini alla guida, vigili che regolano il traffico, uomini delle forze dell’ordine parlare al cellulare. Per non parlare di impiegati negli uffici, nelle banche, alla Posta e così via. E’ un malcostume che a volte può essere molto pericoloso, ma non solo. Nella società alienata (Marx dove sei?) i lavoratori non hanno più il gusto di quello che realizzano, subiscono il loro compito, cercando stimoli esterni e sempre nuovi. Una volta ottenuto l’impiego, il posto, fuggono in ogni istante verso l’emozione immediata di uno stimolo esterno. L’eccitazione dell’attimo fuggente che poi fa ripiombare nella vita senza senso di tutti gli altri istanti.



Davvero torna alla mente il grande romanzo di Primo Levi, La chiave a stella, dove l’operaio specializzato Pautasso gira il mondo per costruire pezzi perfetti che prolungano la sua stessa esistenza, in un “dialogo” (come scriveva il filosofo Josef Tischner) con il resto del mondo. “Fra venti anni magari qualcuno userà il pezzo che ho fatto”, pensava Pautasso “a regola d’arte e se ne gioverà…”.



Ecco quello che è scomparso dalla nostra vita contemporanea: il gusto del fare bene il proprio lavoro perché realizza un dialogo infinito col resto dell’umanità. La tecnologia contemporanea offre continua vie di fuga dalla responsabilità in una enorme Las Vegas dei comportamenti: il videogioco, Internet, il telefonino come strumenti di un paese dei balocchi sempre più globale, che illude, aliena, allontana.

Non c’è legge, non c’è repressione che possa aiutare ad uscire da questa mastodontica Disneyland che ottenebra la mente e la singola personalità. Anzi, lo scandalo che suscitano alcuni episodi estremi sono l’altra faccia dell’ipocrisia contemporanea. Solo a tratti, di fronte alla clamorosa evidenza, le cose tornano ad essere chiamate col loro nome. Ma spesso è troppo tardi. 



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