Ho avuto l’onore e il piacere di coordinare lo speciale del Tg5 dedicato alla beatificazione di papa Giovanni Paolo II. Un punto di osservazione privilegiato che mi consente di sottoporre ai nostri lettori alcune impressioni. C’era davvero tanta gente, un milione e mezzo di donne, uomini, bambini, laici e religiosi, venuti da tutto il mondo per questo appuntamento tanto atteso.



Un milione e mezzo di persone che per alcuni minuti ha osservato un silenzio impressionante, come se quel vuoto improvviso si fosse trasformato in una preghiera comune. Quel silenzio carico di parole non pronunciate, di sogni, di aspettative, di formule o di pensieri in libertà che mi hanno riportato a momenti trascorsi in alcuni monasteri cistercensi o nella verde campagna di Carpegna, passeggiando in compagnia della mia amica suor Maria Gloria Riva.



Un silenzio che pur nel momento di una meditazione intima diventa quasi una canzone, un inno, un salmodiare nascosto ma presente. Facce rigate da lacrime, chi di gioia per essere lì nell’evento, chi di dolore per una perdita intima, chi di partecipazione personale a una vicenda grandiosa come quella di papa Wojtyla. E di nuovo il grido collettivo di “Santo subito!”, anche se tutti sanno, anche i dubbiosi cercatori di verità tormentati dal dubbio, club cui certamente appartengo, che lui santo lo è stato sempre.

Si affastellano i ricordi del cronista in un memorabile viaggio al seguito di papa Wojtyla nel 1991, in Polonia e in Ungheria. Ve li risparmio perché in questi giorni tanti hanno raccontato aneddoti ed episodi del proprio incontro col Papa polacco. Riflettevo però seguendo la cerimonia in diretta che queste migliaia di persone, giovani e giovanissimi soprattutto, avevano letteralmente invaso la città senza quasi farsene accorgere!



Compostezza, rigore e perfino tanta allegria. Come quel gruppo di frati che risaliva via Fornaci dopo la cerimonia cantando e salutando con un sorriso le persone che incontravano. Giovani così diversi da quella disperata gioventù che la cronaca è spesso costretta a raccontare. Ma forse é proprio questo il punto: noi giornalisti sappiamo ormai solo raccontare l’orrore quotidiano di realtà che sono, in termini statistici, minoranze.

La maggior parte delle persone vive un quotidiano fatto di tante piccole cose, a volte dolorose, a volte gioiose, i giovani sanno fare volontariato, si sanno divertire in modo sano, sono capaci di fare quel meraviglioso “chiasso” che mai Roma dimenticherà, come disse durante il Giubileo papa Wojtyla. Lui li conosceva, li capiva, li amava, li sapeva raccontare. Che grande lezione!

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