Quattordici anni, di questa stagione li vedi a gruppetti alle fermate dell’autobus, della metro, proprio su quella via Cristoforo Colombo che li porta al mare. Soprattutto ragazze, con le infradito e le unghie pittate, gli zaini con i pupazzetti e le canottierine a strati, di tanti colori. Finita la scuola, c’è il sole, un pezzo di spiaggia dove giocare a pallavolo, spettegolare sdraiate pensando all’estate che arriva. Le guarda anche Mihaela, la chiamiamo così? Che ha la stessa età, ma gonne troppo corte, e del mare sente solo il vento, mischiato alle zaffate di gasolio delle auto che sfrecciano.
Sta su una piazzuola, cerca di darsi un contegno, davanti a quelle coetanee che s’abbrancano e s’appoggiano languide ai fidanzatini. Si vergogna un po’ del rossetto scuro, di quelle zeppe alte, di quelle due grandi che la guardano a vista, scosciate e perse dentro il fumo delle sigarette. Anche lei ce l’ha il ragazzo. Pensava. Ora vorrebbe non averlo, non averlo mai incontrato. Anche lei ha una famiglia, ma non la manda a scuola. Ha anche un fratello, ma non la difende, anzi, è lui a portarla su quella strada ogni giorno, a picchiarla se non porta abbastanza soldi la sera.
Sette anni fa è arrivata in Italia per studiare, si deve, ma voleva fare la parrucchiera, trovare il tempo per andare in palestra e fare shopping con le amiche in quelle belle vie del centro di Roma dove ci si struscia davanti a mille vetrine. Appena ha preso le parvenze di una donna, troppo in fretta, le hanno chiesto di guadagnarsi il pane. Di prestarsi a uomini vecchi, strafottenti, sporchi, maiali, italiani e stranieri, violenti e malati, ogni giorno.
Ora poi sta poco bene, si sente la nausea e da svenire: è il caldo, da un po’ di tempo non riesce a stare in piedi, lì ferma, al sole, con quella nausea che sale su dalla pancia e prende tutta la testa. Stasera rivedrà suo fratello, il suo ragazzo, che la sbatterà sul materasso dove dorme con sua madre e il resto dei suoi. Un altro… Che ci troveranno in quel suo corpicino pallido, per lei il piacere sarebbe unirsi a quelle ragazze e andare al mare. E non tornare più.
P.S. La storia di Mihaela è vera, una delle pagine di cronaca nera, nerissima della Capitale. Non è l’unica, Mihaela, solo che l’hanno trovata i carabinieri, l’hanno fatta visitare, è incinta. Arresteranno i suoi aguzzini, i suoi parenti. Quanti anni si beccheranno? E dopo? Quante altre come lei faremo finta di non vedere, sui bordi delle nostre strade, magari scandalizzati dall’indecenza? Ma soprattutto, si può ricominciare a vivere, a quattordici anni, dopo una storia così? Si può, se trovi qualcuno che ti accoglie e ti vuol bene, che ti aiuta a far nascere e crescere quel bimbo che può darti la gioia e l’amore che non hai avuto.
Una riflessione, necessaria, anche se dura: non è vero che una grande città, un grande paese può accogliere tutti, se non è in grado di assicurare una vita degna. Se lascia che i minorenni siano sfruttati e vilipesi, ogni giorno, accampati in una tenda alla periferia. E siamo sicuri che qualcuno proverà a suggerire di non tenerselo, quel bambino che porta in sé, e speriamo che non sia la più facile, e la più orrenda, delle soluzioni proposte.